Da lunedì 22 luglio alle ore 23 e per dieci settimane, Rai3 trasmetterà “La stagione dei Blitz”, un programma di Gianni Minà in dieci capitoli di 60 o 75 minuti l’uno che, come già successe cinque anni fa, si prefigge l’obiettivo di riproporre con un’adeguata e nuova logica di montaggio, alcune delle puntate di maggior successo che lo stesso Minà realizzò e propose con Blitz trent’anni fa. “Blitz” sceglieva un tema a settimana, dal più popolare come l’amore o la nazionale di calcio, al più sofisticato come il grande cinema o la poesia. E il tema era svolto ogni volta usando tutti i linguaggi e le forme di comunicazione possibili: sequenze di film, esibizioni in studio, riprese da vari teatri, canzoni, arie liriche, balletti, interviste, collegamenti esterni. “Blitz” fu anche la prima trasmissione di intrattenimento e cultura che sentì l’esigenza di non chiudersi nello studio, ma di aprirsi spesso a molti contributi esterni.
Rimontare delle puntate andate in onda trent’anni fa. Un’operazione difficile?
Ridurre un programma che durava 4-5 ore, perfino 6 nell’ultima stagione a 1 ora e 15 minuti era un’impresa tutt’altro che facile. Ma non volevamo semplicemente prendere un filmato tagliarlo e via. Noi volevamo costruire un racconto e far capire agli spettatori che tutto ciò che vedevano era in diretta, che stava accadendo in quel momento.
Ci siete riusciti?
Penso di sì. Avevamo fatto questo esperimento già cinque anni fa rimontando le dieci puntate del primo anno di “Blitz” ‘81-‘82. Quest’anno rielaboriamo la stagione ‘82-‘83. Eravamo alla seconda edizione e quindi eravamo più organizzati. Avevamo un certo prestigio e per gli ospiti venire a “Blitz” era diventato gratificante.
E che ospiti! Robert De Niro, Federico Fellini, Sergio Leone…
Non erano solo ospiti come oggi li intendiamo tradizionalmente. Erano personaggi con i quali creavo un’empatia inedita. E facevamo fare loro cose inusitate.
Ad esempio?
Roberto Benigni e Massimo Troisi. Sono venuti due volte nella stessa stagione. Nella prima e nell’ultima puntata. Mi hanno letteralmente massacrato per ore con ironia e battute. Ad un certo punto, da uno studio collegato, si è materializzato Carmelo Bene per insegnare a Benigni come si dovrebbe leggere Dante. Sappiamo come è andata a finire…
Gli ospiti erano a loro agio nell’improvvisare o nel sottoporsi a questi esperimenti?
Se hai presenze così devi fargli fare per forza qualcosa di eccezionale, ma per farlo devi conoscere la storia dello spettacolo, l’abc dell’intrattenimento. Per poi coinvolgerli. L’artista è spesso una persona fragile, ma se si sente tutelato fa cose che non ti immagini. Perché di fondo ha una grande generosità.
Le puntate del 19 e 26 agosto sono su Paul Anka. A quel tempo era una star d’eccezione.
Un divo mondiale. Uno dei 4 grandi di Las Vegas insieme a Barbra Streisand, Frank Sinatra e Tom Jones. Lo sto rivedendo proprio in questi giorni mentre mi occupo del montaggio: Paul Anka, come Louis Armstrong, si esibisce a Sanremo. Il giovane arrangiatore della Rca quasi sconosciuto che lo accompagna è un tale di nome Ennio Morricone…
A Blitz invitammo Paul Anka con lo stesso Morricone. Mentre Paul Anka si apprestava a cantare ci collegammo in diretta con Lucia Dalla da Bologna che cominciò a duettare con lui. Poi, ad un certo punto, arriva un altro nostro grande amico, da poco mancato, Enzo Jannacci che improvvisa il rock “Una fetta di limone” e Paul Anka si piscia sotto dalle risate…
Tutto avveniva in modo improvvisato. E non c’era il rischio di intoppi?
C’era. Ma io mi salvavo con “Questo è il bello della diretta”. Sapevamo improvvisare. Anche lo studio era “sui generis”. Giuliano Nicastro, il regista, optò per uno studio “a cielo aperto”: cavi, altoparlanti, telecamere, tutto era davanti agli occhi di tutti e si poteva vedere in diretta tutto quello che succedeva.
C’è un personaggio tra quelli intervistati che ha lasciato il segno?
Monica Vitti. La puntata su di lei l’ho fatta con il cuore. Monica era una donna di bravura e simpatia straordinarie. Ricostruimmo la sua carriera ricordando che era stata la diva dell’esistenzialismo dei film di Antonioni ma anche la protagonista di “Una ragazza con la pistola”, una perla della commedia all’italiana. Anche nel suo caso non era sola. Le facevano corona Gino Paoli, Gigi Proietti, Gianni Morandi e Paolo Conte che in televisione non andava quasi mai.
C’era un altro artista che di andare in televisione proprio non ne voleva sapere, eppure a Blitz ci è venuto: Fabrizio De Andrè.
Fabrizio aveva una timidezza congenita, temeva di strafare, di esagerare, di occupare spazi di troppo.
Come lo convinse?
Gli promisi di far venire dall’America Gregory Corso, uno dei grandi poeti della Beat Generation che lui amava molto.
E Corso venne in trasmissione.
Sì, avevamo poco budget e lo destinavamo in ogni puntata a qualcuno che valesse veramente la pena. E così lo facemmo venire da San Francisco. Ovviamente Fabrizio venne a “Blitz”, accompagnato da Mauro Pagani. E cantò due brani del disco in ligure “Creuza de ma”. Mi ha corretto subito quando non ho chiuso il dittongo di “Creuza”.
E’ tornato una seconda volta?
No, ma “al posto suo” è arrivata Jon Baez per cantare la sua Canzone di Marinella!
Dalla musica italiana a quella brasiliana, ma nel rimontaggio una puntata non è stata sufficiente per parlarne, perché?
Mettiamola così. Siamo riusciti a riunire nello studio Toquino con il suo gruppo e Baden Powell che era un santone del samba e della bossa nova. Poi ci siamo collegati con Tom Jobim e Chico Buarque che erano a Parigi. E’ sufficiente? (ride). No? Vennero anche a rendere omaggio ai colleghi brasiliani Ornella Vanoni, Sergio Endrigo e Bruno Lauzi. Ci abbiamo provato ma proprio non c’entrava tutto in un’ora o in un’ora e quindici…
De André, Jannacci, Dalla, Endrigo, Lauzi. Il rimontaggio di “Blitz” è anche un’operazione di recupero della memoria di grandi personaggi della storia della musica?
Quelli che hai citato purtroppo mancano tutti all’appello ed erano giovani, e ancora più giovani lo erano di spirito e di idee. Lo sarebbero ancora oggi. E’ il gioco meraviglioso e perverso della vita.
Cos’era “Blitz” rispetto alla tv del tempo?
Era una trasmissione innovativa, all’avanguardia. La tv tradizionale la faceva molto bene su Rai1 Pippo Baudo con “Domenica in” a cui però strappammo un terzo degli ascolti quando i più scettici pensavano che ci avrebbe stritolati! Noi eravamo i rivali un pò sofisticati: quelli che sceglievano il jazz, la samba, la bossa nova, il teatro di Strehler. Su di lui c’è una puntata meravigliosa degli anni ‘83-‘84 che spero di fare in una prossima serie: Strehler è al mio fianco e in pratica conduce lui l’intera trasmissione; tutti i suoi attori si esibiscono in qualcosa. E in collegamento c’era Milva da Parigi che cantava Edith Piaf!
Se potesse rifare, a trent’anni di distanza, un nuovo programma sullo stile di “Blitz” come lo immaginerebbe?
Lo rifarei allo stesso modo, coniugando un sommario ferreo e un’improvvisazione continua. E sforzandomi di trovare sempre idee originali. Certo avrei qualche problema con gli artisti di oggi. Lo dico con assoluto rispetto per i cantautori attuali. Ce ne sono di ottimi, ma la generazione che li ha preceduti della metà degli anni ‘80 non c’e più… Sarebbe un po’ più difficile inventarsi ogni domenica una trasmissione ispirata all’amore, all’utopia o al cinema con quelle vette. Con De Niro che recita per noi il finale di C’era una volta in America o Rey Charles che intona Georgia da un festival del folklore sardo. Ma ci proveremmo. Sovvertendo ancora una volta i pronostici.
Una conversazione con Minà non è un’intervista ma un viaggio interminabile nella memoria. Memoria viva di personaggi che hanno fatto la storia della musica, del cinema, del teatro e che con Minà, abile e complice sparring partner (non a caso era fraterno amico di Mohammed Alì) dialogano, giocano, improvvisano, parlano della vita e della libertà, di speranze e disillusioni, di sogni ad occhi aperti ed utopie concrete. “Alcune delle cose che ho rimontato non me le ricordavo nemmeno io” chiosa Minà a conclusione dell’intervista. “Ed è stato emozionante rivederle con il regista Andrea Dorigo e il montatore Angelo Desideri… Speriamo di realizzare in futuro la terza serie. E ringrazio Rai3 per aver compreso che questo materiale, memoria storica della Rai, non poteva continuare a dormire agli “impianti speciali”. Anche perché il nastro, col tempo, si consuma…”
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