Raggiungiamo un oberato Tony Esposito che si divincola tra una telefonata e l’altra. Sta preparando un remixaggio di Tam Tam Brass, il suo ultimo disco pubblicato dalla Sony Classic alla fine del 2013. “Sto cercando di aggiustare alcuni suoni – spiega al Radiocorriere Tv – per una riedizione che dovrebbe uscire all’estero. Tony Esposito (nella foto) è uno dei protagonisti del Festival “Musicultura” di Macerata. “Una manifestazione importante – sottolinea – nonché un laboratorio per giovani musicisti di talento che vogliono farsi conoscere. Un Festival che va sostenuto almeno per altri venticinque anni e che ci fa onore rispetto a tanta robaccia che si vede in giro…
La sua musica si ispira a sonorità che derivano da molti Paesi del mondo, da cosa nasce questa esigenza di contaminazione?
Considero la musica e gli strumenti che adoro di più, le percussioni, un passepartout per incontrare e conoscere culture diverse. La musica è un incredibile collante, un messaggero di pace. E’ una “terapia”, che può favorire uno stato di benessere e di equilibrio. Il termine “musicoterapia”, non a caso, è stato usato dagli assiri, dai babilonesi, dai greci, dagli antichi romani… La musica, almeno dal mio punto di vista, migliora lo stato d’animo, allenta le tensioni, ed è uno strumento universale di dialogo fra popolazioni diverse.
C’è un Paese da cui è stato sorpreso musicalmente?
L’Africa. Ci sono stato spesso ma è un continente che non smette mai di riservare cose inaspettate. Misterioso e affascinante. Pensiamo a come l’Africa ha “colonizzato” musicalmente il resto del mondo. Era, ed è, la patria di tutti i ritmi. Perché è con il ritmo che comunicano.
Lode alla musica etnica?
Limitarsi al discorso sull’“etnico” sarebbe obsoleto. E sbagliato. Quello che mi interessa oggi è la fusione musicale fra generi, compreso quello elettronico. Per questo mi piace fare continui esperimenti. E andare a “pescare” fra i generi.
Internet ha contribuito a diffondere la conoscenza delle tante culture musicali?
In parte sì. Il web ha rappresentato una vera e propria rivoluzione. Ha ribaltato i parametri tra le popolazioni, ha contribuito a mettere in contatto culture e tradizioni diverse. Ha abbattuto le frontiere. Anche nella musica. Ovviamente l’esperienza diretta è insostituibile.
Lei vanta, nella sua lunga carriera artistica, collaborazioni importanti e ha contribuito, durante gli anni settanta, al “sound ritmico” di tanti artisti italiani. Come Lucio Dalla.
Con Dalla c’è stata un’amicizia profonda. Ho rivisto recentemente un programma televisivo in cui eravamo insieme, negli anni settanta. Io suonavo degli oggetti, perfino le pentole, e lui rispondeva col clarino. Abbiamo abitato entrambi a Campo de Fiori per lungo tempo. Io ero al piano di sopra. Quando ci incontravamo si suonava e si parlava di musica. Di jazz in particolare.
Qual è oggi lo stato di salute della musica? Molti cantautori storici non ci sono più e spesso si ha la sensazione di una crisi creativa, sia di contenuti che di progetti musicali.
Non so se sia giusto parlare di cristi creativa. Quel che è certo è che oggi l’attenzione è tutta concentrata sul mercato. Sei qualcuno solo se hai superato il milione di visite su youtube. Non voglio sembrare retrò ma io vengo da una storia in cui c’erano The Doors, i Cream, Jimy Hendrix. Anche in quel caso il successo era importante ma c’erano altre intenzioni oltre al mercato. Adesso siamo soggetti alla tracotanza dei rappers americani che confezionano video superlussuosi. E’ tutto più superficiale. Ma forse ad essere più effimero è proprio il momento storico che stiamo vivendo.
Non si avvertono forti motivazioni esistenziali. L’esplorazione di universi interiori ed esteriori come accadeva con gli Who, o i Pink Floyd, o un Kurt Cobain. Manca il senso dell’appartenenza. Negli anni ’40-’50 tutto era jazz e nel jazz ci trovavi di tutto. Negli anni ’70-’80 tutto era rock. Facevi musica indiana, country, Santana faceva quella “latina” ma era comunque rock. Non era solo un genere ma un contenitore artistico. Questa “appartenenza” oggi manca.
Progetti futuri.
Sono un musicista a cui piace fare mille cose. Sto collaborando anche con un pittore e un ottimo pianista americano combinando musica e pittura ma ciò che mi appassiona di più è il progetto legato al disco Tam Tam Brass di cui parlavo all’inizio. Un disco in cui metto le percussioni alla musica classica. Che potrebbe apparire un’operazione di blasfemia musicale ma che invece ha superato la diffidenza dei cultori della musica alta. E così, grazie all’orchestra dei fiati di Santa Cecilia che sono tra i più bravi del mondo abbiamo reinterpretato pezzi di Bach, di Vivaldi e altri grandi. Il mio sogno era creare una stesura ritmica che partendo dalla coste dell’Africa del Nord, su su verso il Mediterraneo si incontrava con la musica colta europea. Avevo bisogno di questo incontro. Questa è la mia Africa.
* da Radiocorriere Tv