La disoccupazione giovanile è al 43%, oltre ogni livello di guardia. Settecentomila ragazzi tra i 15 e i 24 anni che inviano curriculum e fanno colloqui in attesa di un posto che non c’è. E che, secondo molti di loro, non ci sarà mai. E così molti di loro, probabilmente a malincuore, scelgono di lasciare l’Italia per trovare, in un altro Paese, un lavoro, una prospettiva di vita, una speranza.
Anche i nipoti del regista Giovanni Veronesi (nella foto) hanno scelto di “fuggire” dal paese Natale per cercare fortuna all’estero, uno in Inghilterra, l’altro a New York. E’ stata questa, ma non solo, la molla che lo ha spinto a condurre una trasmissione in radio dal titolo “Non è un paese per giovani”.
Ogni mattina su Radio2, dalle 8 alle 10, insieme a vari ospiti, in studio e al telefono, da Fiorello a Violante Placido, da Francesco De Gregori ad Alessandro Haber il regista Veronesi, insieme a Massimo Cervelli dà il buongiorno a quei ragazzi che hanno deciso di lasciare l’Italia.
E’ stata la “fuga” dei tuoi nipoti a darti l’ispirazione per affrontare questo tema?
In parte sì ma in generale è una riflessione che faccio da tempo e che penso sia gravemente trascurata. E non parlo della cosiddetta “fuga dei cervelli”, cioè le eccellenze italiane che vanno fuori. Mi interessano le persone normali che se ne vanno perché in Italia c’è un’aria irrespirabile. Perché qui non ci sono opportunità per loro. Perché siamo troppo preoccupati ad affrontare il presente per non far affondare il paese, mentre i giovani sono proiettati nel futuro.
All’estero non è così?
Fuori dall’Italia è diverso. In Inghilterra, ad esempio, si trova lavoro più facilmente, si fanno i contratti, perché c’è una mentalità diversa, perché i giovani rappresentano un investimento non un problema.
Di chi è la colpa? Della politica? Delle istituzioni?
Le responsabilità sono numerose e ben distribuite. Di sicuro in questi venti anni la politica è stata malsana. Ministri che hanno detto che con la cultura non si mangia. Un’offesa umiliante per tutti coloro che vogliono studiare. E allora li comprendo se hanno deciso di andarsene.
Oggi abbiamo un governo “anagraficamente” più giovane. Potrà servire a invertire la tendenza?
Ho votato Renzi ma non è così automatico che una classe politica più giovane si interessi alle sorti delle giovani generazioni. Serve un cambio di mentalità, una rivoluzione culturale.
Da dove si deve partire?
Da un approccio diverso. Dare centralità all’istruzione e di conseguenza agli sbocchi lavorativi. Se in Italia studi ti guardano come fossi un poveretto. Vuoi fare il ricercatore? Ti trattano come un appestato, l’ennesimo disgraziato che girerà inutilmente fra le università. Il problema è che siamo devastati dall’ignoranza. Della cultura, e delle sue potenzialità si parla solo in campagna elettorale.
Lo riscontro anche attraverso molti degli ascoltatori alla radio. I giovani non sono un problema primario. La prima impellenza è quella di salvare la baracca. Ma ci vorranno dieci, venti anni. E nel frattempo come si investe sui giovani? Dobbiamo renderci conto che i nostri ragazzi di 10-15 anni, fra dieci anni ne avranno 20-25 e sono loro che dovranno risanare il paese, con le loro idee, la creatività, la voglia di cambiare le cose. E dobbiamo investire su di loro, da subito. Deve pensarci la politica, le istituzioni ma dobbiamo sentirci tutti coinvolti.
Anche i media? Tv e giornali che atteggiamento hanno?
Pessimo. Cosa fanno i media per i ragazzi? Niente, solo i talent. Perché non fare una trasmissione “di servizio” per aiutare i giovani a trovare lavoro? Oppure dobbiamo lasciarli alle file lunghissime e inutili agli uffici di collocamento?
Tuo nipote cosa fa a Londra?
E’ andato a studiare archeologia perché c’è un eccellente corso di studi e pensa di poter avere lì uno sbocco professionale.
Non è paradossale doversi recare a studiare in Inghilterra una materia che è patrimonio del nostro dna storico e artistico?
Certo, è assurdo. A Roma fai un passo e sei immerso nell’archeologia. Eppure qui non riesci a trovare opportunità di lavoro su questo campo. Ripeto, qui non si tratta di fuga di cervelli, ma di esseri umani, di anime… Detto questo la mia non è una trasmissione di “analisi sociologica”. Cerchiamo di trattare questo tema con leggerezza e comicità ma non mancano le riflessioni serie.
C’è materia per un film?
Senz’altro. Voglio fare un film su questo argomento con delle linee narrative su più piani: il giovane che vive all’estero, la famiglia che rimane in Italia e vede il figlio che gli mostra Melbourne attraverso Skype…
E tu hai mai pensato di “fuggire”?
Ci penso più negli ultimi dieci anni che nel passato. Da giovane ho avuto la fortuna di realizzare gran parte dei miei sogni mentre oggi mi trovo a fare i conti con una società sempre più lontana dal paese in cui volevo vivere. Sono molto affascinato da Roma e quando vado in giro in Vespa mi rendo conto che sto vivendo in un luogo meraviglioso ma poi penso sia solo una bellissima cornice all’interno di un Paese dove la gran parte delle persone è razzista, di destra, egoista, e senza interessi per il prossimo. L’Italia è diventato un paese gretto. Non è un Paese per giovani, ma forse oggi, neanche per adulti. Posso solo sperare che tutto ciò cambi.
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