“Per me i musicisti napoletani hanno una marcia in più. E non a caso ogni dieci anni esprimono delle innovazioni e rifanno letteralmente l’apparato musicale partenopeo: Renato Carosone, Roberto Murolo, i fratelli Bennato. E poi il grande Pino Daniele…” Gianni Minà quest’ultimo lo conosceva bene e ricorda, con immutato slancio, quei venti minuti memorabili dello spettacolo “Alta classe” da lui condotto molti anni fa con ospiti Pino Daniele e Massimo Troisi (nella foto). E al Radiocorriere tv Minà cita quell’indimenticabile siparietto in cui Troisi si rivolge al pubblico con una battuta che rimarrà storica: “vulite sapé come Gianni è arrivato a me? Ha aperto l’agenda e… Fratelli Taviani, Little Tony, Toquino, Massimo Troisi. Vulisse avé l’agenda ‘e Minà!”
“Uno sketch irripetibile. E in mezzo a quei due giganti c’ero io”. “Fra Pino e Massimo – ricorda – c’era una complicità straordinaria. Entrambi napoletani, nemici dell’ovvietà, odiavano le stesse cose, si guardavano e già erano d’accordo, odiavano la retorica e le esagerazioni della loro città”.
Il primo aspetto di lui che ti viene in mente
Aveva sempre la chitarra con sé come fosse incorporata dalla nascita. Come lui solo Toquino. Lo strumento era di fatto un prolungamento del braccio.
Ha rivoluzionato la musica, secondo molti critici.
E’ così, è stato modernissimo musicalmente, uno strumentista come pochi in Europa. Ma anche straordinario nei versi. “Napule è” è un manifesto della città che lui amava e che al tempo stesso lo faceva anche molto incazzare.
Molti non hanno gradito la decisione di aver lasciato Napoli
Una polemica francamente molto discutibile. Per fare alcuni mestieri devi andare via dalla tua città. Anche se questa si chiama Napoli. In America i grandi del rock vanno tutti a New York e qualche volta a Los Angeles.
In questi giorni tv, radio e giornali lo accostano spesso a Massimo Troisi. Tu sei stato testimone della loro grande amicizia.
Sapevano di avere lo stesso male allo stesso stadio. Andarono insieme nell’importante centro cardiologico di Houston e sapevano che ogni anno, ogni mese era strappato a un destino che non sarebbe stato generoso con loro. Tutte e due alla fine erano giunti alla stessa conclusione. “E’ inutile che io sto a casa e mi riguardo, che vita sarebbe?” diceva Pino. E Massimo che fino all’ultimo giorno ha lavorato sul set del Postino di Neruda”. “E se poi arriva la mia fine vuol dire che era segnata”, di questo parlammo una volta con Pino. Mi disse che stava cadendo nell’errore di negarsi molte cose. E infatti dopo una pausa di tre anni dai concerti all’inizio degli anni ‘90 ha ripreso con tutta la sua verve con le sue tournée.
I funerali di Roma e Napoli sono stati di dolorosa commozione
Ho visto Tullio De Piscopo stravolto e Nino D’Angelo con le lacrime agli occhi. Artisti di diversa natura che in teoria non hanno niente da dirsi. E lui compiva il miracolo di farli dialogare. L’alchimia era il suo prestigio, le sue qualità artistiche e umane. Era un uomo timido ma rigoroso. E sembrava un tipo brusco invece era dolcissimo.
Intervista a cura di Stefano Corradino pubblicata sul Radiocorriere Tv