“Anime nere” asso pigliatutto dei David di Donatello 2015. Alla cerimonia di consegna degli “Oscar” del cinema italiano, che si è svolta il 12 giugno al teatro Olimpico di Roma, il film del regista Francesco Munzi (nella foto), un viaggio nel cuore della ‘ndrangheta, nel buco nero della Calabria, ha fatto incetta di premi: miglior film, regia, sceneggiatura, produttore, autore della fotografia, musicista, canzone originale, montatore e fonico di presa diretta. Ben nove statuette, così tante che lo stesso Munzi non tiene il conto quando, ancora sul palco a pochi minuti dalla proclamazione, lo sequestriamo ai flash dei fotografi per un’intervista a caldo.
Si aspettava un risultato così debordante?
Sinceramente no, “Anime nere” è stato molto amato da quando è uscito nelle sale ma ero in compagnia di film così belli che per questa dura “battaglia” ho dovuto assumere un atteggiamento quasi zen.
Il film ha avuto un crescendo notevole dopo la presentazione al festival di Venezia
Direi sorprendente. E’ stato distribuito in almeno venticinque paesi fuori dall’Italia.
Anche in America, che non è un approdo così naturale per i film italiani
E’ stato un privilegio e il film negli Usa è diventato un caso e si è conquistato una pagina sul New York Times e una sul Los Angeles Times.
Com’è nata l’idea del film?
Mi stavo occupando di un altro progetto quando mi sono imbattuto nel libro di Gioacchino Criaco e sono rimasto molto colpito dal modo in cui affrontava una materia che conoscevo solo tramite le notizie dei giornali.
La materia di cui parla è la n’drangheta che lei, tuttavia, ha raccontato senza nominarla. Perché?
Mi sono voluto soffermare sui personaggi e sulle loro emozioni. La ‘ndrangheta ovviamente c’era ma era un contenitore, un mezzo che mi aiutava a parlare di altro: di famiglia, di rapporti tra fratelli, padri e figli, di valori da difendere o meno. La ‘ndrangheta in qualche modo rimane sullo sfondo.
Il libro è ambientato negli anni settanta ma lei ha voluto portare la vicenda ai giorni nostri. Per quale motivo?
Il libro di Criaco aveva giustamente lo sguardo proiettato su quegli anni ma io nutrivo il desiderio di parlare dei giorni nostri e quindi ho conservato lo spirito del libro ma ho tentato di parlare anche dell’oggi.
Quando si trattano temi legati alla criminalità, anche nel cinema, sono frequenti i collegamenti con la politica. Nel suo non sono così evidenti, quantomeno esplicitamente
Qualche riferimento c’è ma a me non piace affrontare grandi temi o specifiche connessioni direttamente. Mi piace che siano evocati, poi lo spettatore che li vuole cogliere ben venga!
A conclusione dell’intervista il regista ci tiene a ricordare anche a noi, come ha fatto sul palco, il co-sceneggiatore del film Fabrizio Ruggirello scomparso nel dicembre scorso. “Senza di lui il film sarebbe stato molto più povero”.