E’ il 7 agosto 1990. Siamo a Roma. Simonetta Cesaroni è una ragazza di 21 anni che lavora come segretaria contabile presso lo studio commerciale Reli Sas. La società annovera tra i suoi clienti la A.I.A.G. (Associazione Italiana Alberghi della Gioventù) con sede in via Poma, 2. E’ qui che Simonetta si reca il martedì e il giovedì (gli altri giorni lavora nella sede della Reli Sas) in un edificio nella zona elegante del quartiere Della Vittoria, a pochi passi da piazza Mazzini. Dopo le 17.35 del 7 agosto ultimo contatto di Simonetta, inizia la tragedia, secondo le ricostruzioni degli inquirenti. Simonetta viene colpita dal suo aggressore e sviene. L’assassino prende un tagliacarte e inizia ripetutamente a pugnalarla. Muore alla fine dei ventinove colpi inferti.
Sono trascorsi 25 anni da quel delitto che è tuttora senza colpevoli dopo varie piste investigative e tre persone accusate del delitto, successivamente scagionate. “Chi l’ha visto” si è occupata da subito della drammatica vicenda e ha continuato a seguirla negli anni (nel 2014 l’ultima puntata). Il Radiocorriere tv ha intervistato Giuseppe Pizzo che negli ultimi anni ha seguito il caso per la trasmissione condotta da Federica Sciarelli su Rai3.Regista e sceneggiatore Busco è stato a lungo membro della polizia di Stato.
Da dove è partito per svolgere la sua inchiesta sul delitto?
Dai dati oggettivi. Sappiamo che sulla porta della stanza dove è stata ritrovata Simonetta c’era il gruppo sanguigno dell’assassino, gruppo A. L’assassino che la uccide lascia sulla scena una traccia di sé. Un accertamento fatto più volte dagli esperti della polizia scientifica e dagli incaricati dalla Procura. Il sangue dell’aggressore era mischiato con quello della vittima.
Uno degli accusati per lungo tempo è stato Raniero Busco che, all’epoca dei fatti era il fidanzato di Simonetta
Fin da subito abbiamo espresso le nostre forti perplessità soprattutto sulla base del fatto che il gruppo sanguigno di Busco era diverso da quello rinvenuto.
Poteva esserci un complice?
Un’ipotesi che non è stata presa in considerazione, non c’era alcun riscontro.
Pietrino Vanacore, il portiere del palazzo teatro dell’omicidio e Federico Valle, nipote dell’architetto Cesare Valle che viveva nel palazzo sono state le altre due persone accusate tra il 1990 e il 2011. Le accuse poi decadono. Quindi a venticinque anni di distanza siamo di nuovo al punto di partenza?
Si deve partire dagli elementi certi. Sappiamo che Simonetta conosceva l’aggressore. Aveva padronanza del luogo, conosceva l’appartamento. Sapeva che lì non sarebbe arrivato nessuno e dopo il delitto scappa senza fretta e non lascia tracce di sé sulle scale. Pulisce le zone della scena del crimine, porta via gli abiti di Simonetta
Un’aggressione a scopo sessuale?
Senza dubbio. L’aggressore colpisce la ragazza nella zona del pube e negli occhi. E’ un chiaro messaggio di rabbia e rancore che lega l’aggressore alla vittima. E’ l’evidente reazione furiosa a un rifiuto.
Tra le piste alternative si è parlato anche di presunti intrecci con la Banda della Magliana ed i servizi segreti. Simonetta avrebbe scoperto dei documenti segreti e compromettenti
Alcune testimonianze in questo senso esistono ma sono state fatte da persone che hanno ventilato la presenza dei Servizi praticamente in tutti i casi di cronaca. E non c’è alcun riscontro oggettivo.
Non per apparire “complottista” a tutti i costi ma il delitto sessuale non potrebbe essere stato un depistaggio?
Ribadisco che non c’è alcun tipo di riscontro per questa ipotesi. Non avrebbero lasciato quelle tracce nell’appartamento. Quelli della Banda della Magliana si contraddistinguevano come un’organizzazione capillare. Nel delitto di via Poma ciò che manca è proprio l’organizzazione.
Però siamo ancora qui a tentare di scovare il colpevole
Non è un omicidio perfetto. E’ l’indagine ad essere imperfetta. Con le tecniche di oggi e un accertamento del dna questo caso si sarebbe risolto in 24 ore.
Come si dovrebbe procedere allora per arrivare alla verità?
Andando a fondo delle carte, leggendo e approfondendo tutta la documentazione dell’inchiesta. In quelle carte non tutte le persone coinvolte in questa storia sono state oggetto della giusta attenzione come si sarebbe dovuto. Simonetta nella borsa aveva alcuni negativi di fotografie scattate anni fa al mare, che qualche giornale successivamente ha pubblicato. Perché lei quel giorno aveva quelle foto con se? Ci sono ancora tanti piccoli particolari che se approfonditi potrebbero portare a qualcosa.
L’ultima volta che ne avete parlato è stato lo scorso anno
Sì, abbiamo intervistato Raniero Busco e abbiamo raccontato la sua storia.
Tornerete ad occuparvene?
Sicuramente, perché è un caso irrisolto. Lo dobbiamo anche a chi, come il padre di Simonetta, non ha mai smesso di cercare la verità.
Intervista a cura di Stefano Corradino pubblicata sul Radiocorriere Tv