“Chiunque pensasse di combattere la Mafia nel “pascolo” palermitano e non nel resto d’Italia non farebbe che perdere tempo”. E’ una delle riflessioni più note ed importanti del generale Carlo Alberto dalla Chiesa ucciso in un agguato mafioso assieme alla moglie e a un agente di scorta il 3 settembre di trentaquattro anni fa. Dalla Chiesa definiva la mafia “policentrica” e così ne rifiutava quella schematizzazione geografica che confinava l’attività criminale alla sola Sicilia. E ciò che è accaduto negli anni successivi, fino ai giorni nostri, con le organizzazioni mafiose presenti praticamente in ogni regione d’Italia, dimostra la lungimiranza e l’attualità di quelle riflessioni.
Il generale, in congedo, viene nominato Prefetto di Palermo nel maggio 1982 dal Consiglio dei Ministri per combattere Cosa Nostra, che pochi giorni prima, il 30 aprile aveva barbaramente ucciso Pio La Torre, allora segretario regionale del Pci e Rosario Di Salvo, suo collaboratore.
Dopo neanche un mese dalla nomina viene pubblicato il “rapporto dei 162”. E’ una nuova mappa del potere mafioso a Palermo, che porterà a 87 mandati di cattura e 18 arresti, e svelerà anche varie commistioni tra mafia e politica. E’ proprio Dalla Chiesa a disporne la trasmissione alla Procura di Palermo.
Nel suo diario personale Dalla Chiesa racconta tra l’altro che parlò con Giulio Andreotti un mese prima del suo insediamento e nelle settimane successive scrisse che la corrente andreottiana a Palermo era la famiglia politica più inquinata del luogo. Andreotti negò di aver avuto questo colloquio. E al suo funerale l’ex presidente del consiglio democristiano decise di non andarci. “Preferisco andare ai battesimi piuttosto che ai funerali” disse.
“Un uomo viene colpito quando viene lasciato solo” fu il pensiero premonitore di Dalla Chiesa in un’intervista a Giorgio Bocca pochi giorni prima dell’agguato mafioso. La solitudine di chi resta fedele ai propri principi e non si piega all’illegalità e al malaffare.