Quella di venerdì era una sera gelida. Eppure le poche persone che circolavano per il centro di Orvieto si erano tutte riversate al banchetto della Torre del Moro allestito in poche ore per testimoniare solidarietà a Giovanni Scanavino, Padre spirituale della Diocesi per i credenti, uomo caritatevole e gentile per i non praticanti della fede. Oltre duecento firme in un’ora.
Il giorno dopo l’evento si ripete. E nello stesso punto si ritrovano centinaia di persone, sotto lo sguardo incuriosito dei turisti, a porre il loro nome in un lungo elenco che di lì a poche ore sarebbe stato consegnato direttamente in Vaticano.
Sgomento, incrudelità, indignazione. Pulsioni vive e vibranti di tante donne e di uomini che non accettavano un diktat imposto dall’alto: vedersi sottrarre un uomo che amava, ricambiato, la sua comunità.
E così le firme si moltiplicano, e l’appello viene rilanciato su internet. Altre firme, altri attestati di stima, e di rabbia per una decisione sbagliata ed impopolare. Qualcuno parla di una veglia silenziosa al Duomo, altri arrivano ad ipotizzare una catena umana davanti alla Santa sede per manifestare ai Vertici il proprio disappunto.
Oggi Padre Giovanni se n’è andato. Con la stessa leggerezza con cui ha diretto la sua Diocesi in questi anni. Leggerezza che non è inconsistenza ma reazione al peso di vivere. Quella che scrittori come Shakespeare, Paul Valéry o Calvino descrivevano come un modo per arginare la pesantezza di un mondo che diventa di pietra. O Giacomo Leopardi che sembra conoscere Padre Giovanni quando attribuisce alla leggerezza una speciale connessione tra malinconia e umorismo, “una capacità di trascendere con le immagini poetiche l’insostenibile peso del vivere e l’irraggiungibile felicità”. Parole che sembrano coniate per lui: la malinconia di un uomo che patisce per la sofferenza umana ma ne sottrae il peso con un umorismo gentile.
Padre Giovanni ha compiuto una sorta di miracolo. La sua rimozione ha scosso una comunità, destando centinaia di persone dal sonno dell’indifferenza e dell’apatia a cui tanta mala politica (e mala chiesa) vorrebbe abituarci per gestire dall’alto la nostra vita e narcotizzare i sogni.
Per questo mi auguro che la triste vicenda di Scanavino non sia stata vana e che il miracolo si possa compiere di nuovo. E che gli orvietani, riscoprano il diritto-dovere di sentirsi cittadini, membri di una comunità. Religiosa o civile che sia. Il piacere di essere protagonisti attivi e di contribuire insieme, ognuno con le proprie forze e le proprie idee alla crescita della città. Ribellandosi alle decisioni ingiuste e impopolari, vigilando e inchiodando i propri rappresentanti alle loro responsabilità. “La politica – scriveva Paul Valery – è l’arte di impedire alla gente di impicciarsi di ciò che la riguarda”. E allora completiamo il miracolo: ricominciamo ad impicciarci di ciò che ci riguarda.
(di Stefano Corradino)
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