Ma alle 21:04, quando dalla torre di controllo di Palermo parte il contatto radio per autorizzare la discesa sul Dc9 nessuno risponde. Elicotteri, aerei e navi si precipitano nelle ricerche ma il volo è disperso. Solo alle prime luci dell’alba viene individuata ad alcune decine di miglia a nord di Ustica, una chiazza oleosa. Lì ci sono i primi relitti e i primi cadaveri.
Sono trascorsi 31 anni da quella terribile notte. Anni e anni di indagini, migliaia di cartelle di atti per oltre un milione e mezzo di pagine e circa trecento udienze processuali. Inchieste ostacolate e manomesse come affermano gli stessi inquirenti che hanno ripetutamente parlato di depistaggi e inquinamenti delle prove.
A 31 anni di distanza da quella tragedia sappiamo molto e non sappiamo niente.
Sappiamo che nel cielo di Ustica il Dc-9 non era solo ma c’erano ben 21 aerei che circondavano il velivolo precipitato. Lo ha ricordato recentemente Andrea Purgatori, il giornalista che per primo seguì la vicenda sul Corriere della Sera.
Non sappiamo di quale nazionalità fossero questi aerei ma si ipotizza che alcuni fossero libici e che l’intento fosse quello di eliminare il colonnello Gheddafi che si presumeva essere su quel volo.
Sappiamo che oltre 30 anni fa abbiamo contratto un bel debito economico con il governo libico che è forse stato tale da tollerare attraversamenti dei loro aerei nei nostri cieli.
Non sappiamo (ma per le ragioni di cui sopra lo immaginiamo) perché fino a oggi nessuno ha chiesto perentoriamente conto a Gheddafi di quella notte del 27 giugno.
Sappiamo di avere un sottosegretario, Carlo Giovanardi che oltre a quella per i gay ha anche un’ossessione per i missili perchè “Nessun missile abbattè il DC9 dell’Itavia su Ustica” – ripete ossessivamente infischiandosene delle valutazioni della magistratura e dei familiari delle vittime.
Non sappiamo perché dobbiamo essere l’unico paese democratico in cui permane il segreto di stato sulle tante stragi che hanno insanguinato l’Italia.
Sappiamo, come scriveva Pier Paolo Pasolini, anche se non abbiamo né prove né indizi ma perché “cerchiamo di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; di coordinare fatti anche lontani, mettere insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, ristabilire la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero”.