di Federico Orlando* –
E’ stato l’anno di WikiLeaks. E in America è nato un giornale on line che si chiama 2043. A usare un numero per titolo aveva già pensato Orwell: 1984. Per quell’anno i padroni del popolo avrebbero realizzato la scissione completa tra parola e realtà: la cosiddetta “antilingua”, che Italo Calvino definiva il “terrore semantico”, la fuga da ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato. L’antilingua dell’italiano che non sa dire “ho fatto”, ma deve dire “ho effettuato”: degradando un suo atto di volontà in atto d’obbedienza. Per incatenare le persone bisogna prima uccidere la lingua, che“vive solo di un rapporto con la vita che diventa comunicazione”.
Per caso (i casi giusti al momento giusto), il 24 di Natale incontro a Fiumicino Franco Ferrarotti, quasi ottantacinque anni, in arrivo dagli Stati Uniti e in imbarco per altri paesi. E un suo giovane allievo Stefano Corradino, direttore del quotidiano on line Articolo 21, che va con la fidanzata a New York, dagli “zii d’America”. Mezzo secolo separa il sociologo che aveva previsto la comunicazione globale come democrazia globale e il direttore di una combattiva testata in rete. In mezzo a loro, sembra fuoricampo il giornalista della carta stampata, che cerca di capire:
1) come si scansa la schizofrenia tra vocazione universalistica e di massa della rete e i personal media, i servizi personalizzati (proprio quel giorno, ne riferiva Carlo Formenti sul Corriere della sera);
2) come si affronta il dilemma fra trasparenza informativa e sicurezza dello Stato (WiliLeaks, appunto);
3) come si garantisce la “neutralità” della rete, cioè la par condicio di Google o di un piccolo blogger a utilizzare la rete, senza intasamenti monopolistici; e come si svilupperà la lezione di Obama che, su mandato dell’Authority della comunicazione, s’avvia a garantire le pari opportunità, senza cadere nella nazionalizzazione, grande spauracchio dei conservatori;
4) come alfabetizzare i protagonisti della nuova comunicazione al rispetto dei linguaggi e dei principi etici del “giornalismo”;
5) come far tesoro in Italia della lezione allarmata di Stefano Rodotà, Umberto Eco, Giacomo Marramao, attenti alla “doppia faccia” della rete, come la chiama il filosofo. Il Giano della pace e della guerra. La faccia che esalta democrazia e trasparenza e quella che si offre a possibili avventurismi, piraterie, provocazioni.
Intanto: perché quel titolo 2043? E’ l’anno in cui il New York Time, secondo i massmediologi, stamperà l’ultima copia di carta. Poi sarà solo on line, leggibile nei palmari, negli i-pad e in altri marchingegni che l’elettronica avrà messo a punto fino ad allora. Un “allora” che potrebbe chiudere l’era Gutemberg, la carta stampata coi caratteri mobili, iniziatasi 600 anni fa con le due copie della Bibbia Mazzarina. Nitide come una pagina di i-pad, l’agenda telematica che ci portiamo in tasca e dove, digitando sull’immagine, posiamo ampliare i caratteri di un articolo ,vedere fotografie, sentir parlare, in un coinvolgimento di tatto, vista, udito. E, chissà, quanto prima, anche olfatto e odore. Forse odore di carta stampata, come da 600 anni.
Ferrarotti non ha visto in America quel giornale on line 2043 e non si mostra né fanatico né allarmato dell’avanzata massmediatica. Tuttavia gli sembra che l’elettronica, senza la concentrazione dell’intelligenza sulla pagina stampata, per ora riempia il mondo di milioni di miliardi di “immagini sonore”, come pollini impalpabili: alcuni fecondano, altri danno allergie, altri finiscono nell’oceano del niente. Certo, non sono linguaggi che “stringano la realtà in modo che non scappi”, come temeva Calvino cinquant’anni fa. I giovani, soprattutto loro, devono essere avvertiti: noi italiani abbiamo la tendenza a usare espressioni astratte e generiche, a perdere le parole che Georges Simenon definiva mots-matiére, le parole che significano per tutti la stessa cosa. (L’ha ricordato di recente Carofiglio).
E Ferrarotti incalza: “L’ iperattivismo massmediale dei miei studenti mi affascinava, ma non coglievo corrispondenza fra iperattivismo e capacità di arricchimento culturale”. Quali pollini positivi riescono a trattenere, quali negativi a respingere? E come si fa a distinguerli? Trecentomila file che Julian Assange sta mettendo in libertà dalla voliera, trasferendoli dagli archivi a internet, depositeranno pollini positivi?” Non c’è il rischio che governi reazionari all’italiana, alla turca, all’ungherese, ci portino a quella che Gyorgi Konràd definiva demokratura? Il monopolio Raiset? La censura fondamentalista che manda la Turchia alla deriva? Lo strangolamento con multe da 700 mila euro che l’ultradestro premier di Budapest, Victor Orbàn, impresentabile prossimo presidente del semestre europeo, annuncia come la “vera rivoluzione” ungherese?
“E’ un po’ angosciante – risponde il fondatore della nuova sociologia italiana -. Il “villaggio globale” in cui aveva sperato Mc Luhan, e anche io per la mia parte, s’identificava la comunicazione democratica. Base e vertice dialogano di continuo e si dicono tutto quello che possono dirsi. Invece, a partire dalla generale sonnolenza indotta da una tv i cui programmi sono un postribolo planetario, il problema s’è andato aggravando col progredire della multimedialità e del suo uso di massa”. Forse siamo arrivati all’ Homo sentiens, ( saggio ferrarottiano del ’95), ultima manifestazione dell’ Homo sapiens. Nel 2000, un nuovo saggio del sociologo definisce il villaggio odierno La perfezione del nulla: possiamo comunicare tutto a tutti in tempo reale, ma con quale contenuto?
Torna il problema della “doppia faccia”. Julian Assange è il più grande liberale o il più grande avventuriero del mondo? “Definii internet così – dice Marramao – perché l’enorme concentrazione di potere sta appaiata, nell’età della rete, alla vulnerabilità del potere stesso. Specie degli Stati. Il globalismo accresce la loro interdipendenza globale rende difficile la loro difesa. Per un verso dobbiamo difendere internet, enorme conquista dell’umanità, per un altro controllarne gli usi, e gli abusi. La libertà sul web richiede uno screening continuo, come e più che per la carta stampata”.
E’ così anche per il direttore di un giornale on line: il problema sempre più urgente della rete è la lotta all’ analfabetismo linguistico e morale. “ Nella nostra comune esperienza dall’interno del sistema – sembra ricordarci Corradino – abbiamo lamentato tante vole la mancata contestualità tra diffusione degli strumenti e alfabetizzazione di chi li usa”. A cominciare dall’incapacità di esprimersi con parole concrete, appunto i mots-matiére. Tra le incognite italiane di un’eventuale comunicazione tutta on line, c’è il “numero 22”; da noi solo 22 famiglie su 100 sono capaci di connettersi alla rete. Qui dove i telefonini sono più degli abitanti. Di buono c’è -direbbe l’ “antitaliano bonario” Severgnini – che anche tra i ragazzi sembra iniziato il riflusso delle comunicazioni via sms, impasto di grugniti, monosillabi, codici, con cui si tende più a parlare di niente che di qualcosa.
A dirla tutta, non è che siano più del 22 per cento gli italiani che comprano carta stampata: sono rimasti l’élite di un secolo fa, nonostante sia quasi raddoppiata la popolazione. Le polemiche antigovernative di questi giorni sui milioni che il decreto “Milleproroghe” toglie all’editoria e riconsegna al volontariato, contestano il carattere più odioso della potenziale demokratura: non solo si spengono voci di giornali d’opinione e di emittenti locali (che danno lavoro a qualche migliaio di persone), ma lo si fa nascondendosi dietro la più nobile delle intenzioni: quella di trasferire risorse dai “pennaruoli”, come li chiamava il re Borbone, agli uomini e alle donne di buona volontà che si prodigano nei bisogni.
E’ lo schema del Berlusconi ter: a studenti e ricercatori si tagliano “linearmente” i finanziamenti, come ad autori, attori, registi, sceneggiatori delle arti “dal vivo”, e intanto si conferma l’acquisto ipermiliardario del supercaccia- bombardiere di profondità, lo “squalo nero”, da provare in Afganistan. E chi negherebbe che sia sacrosanta la copertura aerea dei nostri “ragazzi”? “Contrapponendo bene a bene – scrive Articolo 21 – , se ne rinnega uno, quello che non rientra nei disegni di egemonia della destra. E si ignora l’ alternativa, che non esclude né un bene né l’altro, ma stabilisce le priorità: per esempio, più ricerca, studio,informazione, volontariato e meno regali fiscali ai ricchi e spese per lo ‘squalo nero’ dei cieli”. Come in Germania, per dire.
Si torna così alla fortezza della carta stampata. I Tartari sono arrivati, non c’è più da sfibrarsi nel deserto dell’attesa, semmai il rischio che il forte Bastiani sia polverizzato. Si vedrà sempre più se e quanto l’attesa abbia nuociuto alla guarnigione, alimentando il bizantinismo, il politicismo, l’antilingua, il narcisismo di non piccola parte della carta stampata; e quanto sia necessario, contro il nemico comune, un’intesa solida tra la civiltà di Gutemberg rinvigorita dalle “parole concrete”, e la civiltà del web liberata dall’assillo di dare per prima la notizia, anche con parole svuotate che svuotano il lettore. Forse si troverebbe per questa via il servizio pubblico informativo degno di un popolo adulto.
Lo scenario della lotta vede un nemico che prova a distruggere, un pezzo alla volta, lo schieramento scoordinato dell’informazione: usa l’atomica dei tagli finanziari contro la carta stampata e contro le tradizionali forme della comunicazione popolare (libri, teatro, cinema, lirica, danza); e i gas nervini della multa e della querela contro la rete. Il potere è atterrito dalla sua esplosività democratica, i democratici sono preoccupati dalla “doppia faccia” della rete. Il conflitto d’interesse tra rete e satrapia- ricorda Corradino – s’è fatto vivo cominciando a parlare di restrizioni normative dopo la manifestazione di massa del Popolo Viola, che era cresciuta su internet. Il fatto che la mobilitazione via blog fosse diventata mobilitazione di piazza, ha impaurito. Finora non sono state proposte per la rete limitazioni come per le intercettazioni telefoniche: ma la spada di Damocle del codice penale è stata agitata sulla testa dei blogger. Aprire un blog o un sito non costa nulla, ma minacciare una multa, anche senza arrivare alla querela per diffamazione, significa tagliare le ali agli internauti, indurli all’autocensura.
Sta qui, insieme a un diffuso deficit etico, la debolezza strutturale del blog. A differenza dei motori di ricerca, e della carta stampata, il blog non ha un editore che possa assumersi l’onere di garantire chi scrive. Anche per questo, finché il problema della “doppia faccia” e della debolezza strutturale della rete non sarà risolto, la difesa dei giornali stampati resta centrale nella lotta alla Satrapia. Grazie al Corriere della sera, che ha pubblicato a un euro i classici del libero pensiero, si sono potute rileggere nell’Aeropagitica – “discorso del sig. John Milton al Parlamento d’Inghilterra per la libertà di stampare senza licenza, Londra 1644” – parole come queste: “Lasciate che la Verità e la menzogna vengano alle prese, senza censure: chi ha mai visto la Verità avere la peggio in uno scontro libero e aperto?”
L’importante è che intellettuali, blogger, giornalisti, insegnanti, familiari istruiti e democratici , siano consapevoli e – aggiunge Ferrarotti – propaghino l’idea che questa è battaglia politica. “Si resti nella politica, e non ci si metta a psicologizzare i dati sociali, come certi sociologi di questi anni”.
Ps. Vale anche per i partiti, opposizione in primis.
* Europa Quotidiano