Il 28 settembre, nella sostanziale indifferenza dei media principali, riprende a Trapani il processo su Mauro Rostagno, il giornalista ucciso in un agguato mafioso nel 1988. L’associazione Libera – che ha indetto il premio di giornalismo scolastico a lui dedicato – ha organizzato martedì 25 settembre a Milano una serata per ricordarlo con filmati, testimonianze, interventi e letture. Parteciperà tra gli altri Benedetta Tobagi, figlia di un altro grande giornalista ucciso, in circostanze diverse ma che come lui aveva dedicato la vita alla ricerca della verità. L’abbiamo intervistata anche nella sua qualità di nuovo membro del cda Rai e per riflettere sull’impegno del servizio pubblico sui temi della legalità.
Benedetta, perché sarai a Milano martedì?
Ci sarò per dare visibilità al processo che si sta svolgendo adesso a Trapani, un processo difficile che arriva 24 anni dopo l’omicidio Rostagno e che sua figlia Maddalena sta seguendo con grande impegno e passione, attraverso una incessante attività di divulgazione per farne conoscere i contenuti.
Parli di processo difficile, perché?
A prescindere dagli esiti – se cioè ci saranno delle condanne – da questo processo sono emerse le incredibili lentezze nelle indagini e i numerosi depistaggi . E lascia sbalorditi che ci siano voluti così tanti anni per arrivare alla pista del delitto di mafia. Corsi e ricorsi tristissimi. Io ho seguito un altro processo, molto ignorato dai media, quello del terzo ciclo di processi legati alla strage di Brescia. Anche in questo caso i depistaggi erano molti, palesi, gravissimi.
Perché ricordarlo oggi?
Per l’impressionante energia e modernità del suo linguaggio. E dalle stesse testimonianze del processo, compresa quella di un uomo della Digos che indagò sul delitto, si evince chiaramente che Rostagno è stato capofila di quel protagonismo della società civile contro la mafia che è cresciuto negli anni novanta.
Carlo Lucarelli qualche giorno fa ha dedicato una puntata su Raitre ai giornalisti sotto scorta. C’è un fil rouge che lega i giornalisti (di ieri) alla Rostagno e quelli (di oggi) alla Saviano, Abbate, Capezzuto…?
Un generale dei carabinieri in pensione, responsabile di aver allontanato le indagini dalla pista mafiosa a un certo punto, durante il processo dice una cosa terribile: “Rostagno era uno dei tanti che parlava di cose di mafia… E la sua era una piccola tv locale, chi mai poteva averne paura?” La specificità dei giornalisti che si occupano di mafia è che spesso si muovono ad un livello piccolo, locale e sono molti soli. E per questo ho trovato terribili le parole di questo Generale, un uomo di Stato, perché le sue parole rivelano che in tanti purtroppo ignorano le storie degli Impastato, dei Siani… Cronisti che sono stati colpiti proprio perché lavoravano a livello locale, isolati, facendo emergere verità scottanti. Ciò che li unisce è proprio questo: la loro condizione di “invisibili”, il lavoro importante che viene spesso sminuito, ostacolato fino alla calunnia, e il tentativo reiterato di cancellare la matrice mafiosa dei loro omicidi.
La presidente Rai Tarantola ha lanciato la proposta di una fiction su Ambrosoli e l’intenzione di promuoverne altre sui temi della legalità. Da giornalista impegnata su questi temi e da membro del cda Rai cosa ne pensi? E quale può essere la funzione del servizio pubblico per contribuire alla crescita della coscienza civile su questi argomenti?
La tv può svolgere una funzione immensa. E questo chiama il servizio pubblico a una grande responsabilità. Da una parte ci sono gli spazi informativi di approfondimento, di ricostruzione e di inchiesta che sono insostituibili. La fiction ha una valenza particolare perché in questo caso lo spettatore è particolarmente aperto, ricettivo e in un certo senso “abbassa le difese critiche”. Per questa ragione chi realizza, produce e diffonde la fiction ha una grande responsabilità che non deve spaventare e che si accompagna alla grande opportunità di fare conoscere figure importanti. Incoraggiante ad esempio è lo straordinario successo che ha avuto il film televisivo dedicato a Paolo Borsellino che, oltretutto, è riuscito a intercettare un pubblico molto più giovane rispetto alla media degli spettatori che seguono la fiction.
Ci sono tematiche molto belle ed importanti su cui lavorare.
Il 28 settembre, nella sostanziale indifferenza dei media principali, riprende a Trapani il processo su Mauro Rostagno, il giornalista ucciso in un agguato mafioso nel 1988. L’associazione Libera – che ha indetto il premio di giornalismo scolastico a lui dedicato – ha organizzato martedì 25 settembre a Milano una serata per ricordarlo con filmati, testimonianze, interventi e letture. Parteciperà tra gli altri Benedetta Tobagi, figlia di un altro grande giornalista ucciso, in circostanze diverse ma che come lui aveva dedicato la vita alla ricerca della verità. L’abbiamo intervistata anche nella sua qualità di nuovo membro del cda Rai e per riflettere sull’impegno del servizio pubblico sui temi della legalità.
Benedetta, perché sarai a Milano martedì?
Ci sarò per dare visibilità al processo che si sta svolgendo adesso a Trapani, un processo difficile che arriva 24 anni dopo l’omicidio Rostagno e che sua figlia Maddalena sta seguendo con grande impegno e passione, attraverso una incessante attività di divulgazione per farne conoscere i contenuti.
Parli di processo difficile, perché?
A prescindere dagli esiti – se cioè ci saranno delle condanne – da questo processo sono emerse le incredibili lentezze nelle indagini e i numerosi depistaggi . E lascia sbalorditi che ci siano voluti così tanti anni per arrivare alla pista del delitto di mafia. Corsi e ricorsi tristissimi. Io ho seguito un altro processo, molto ignorato dai media, quello del terzo ciclo di processi legati alla strage di Brescia. Anche in questo caso i depistaggi erano molti, palesi, gravissimi.
Perché ricordarlo oggi?
Per l’impressionante energia e modernità del suo linguaggio. E dalle stesse testimonianze del processo, compresa quella di un uomo della Digos che indagò sul delitto, si evince chiaramente che Rostagno è stato capofila di quel protagonismo della società civile contro la mafia che è cresciuto negli anni novanta.
Carlo Lucarelli qualche giorno fa ha dedicato una puntata su Raitre ai giornalisti sotto scorta. C’è un fil rouge che lega i giornalisti (di ieri) alla Rostagno e quelli (di oggi) alla Saviano, Abbate, Capezzuto…?
Un generale dei carabinieri in pensione, responsabile di aver allontanato le indagini dalla pista mafiosa a un certo punto, durante il processo dice una cosa terribile: “Rostagno era uno dei tanti che parlava di cose di mafia… E la sua era una piccola tv locale, chi mai poteva averne paura?” La specificità dei giornalisti che si occupano di mafia è che spesso si muovono ad un livello piccolo, locale e sono molti soli. E per questo ho trovato terribili le parole di questo Generale, un uomo di Stato, perché le sue parole rivelano che in tanti purtroppo ignorano le storie degli Impastato, dei Siani… Cronisti che sono stati colpiti proprio perché lavoravano a livello locale, isolati, facendo emergere verità scottanti. Ciò che li unisce è proprio questo: la loro condizione di “invisibili”, il lavoro importante che viene spesso sminuito, ostacolato fino alla calunnia, e il tentativo reiterato di cancellare la matrice mafiosa dei loro omicidi.
La presidente Rai Tarantola ha lanciato la proposta di una fiction su Ambrosoli e l’intenzione di promuoverne altre sui temi della legalità. Da giornalista impegnata su questi temi e da membro del cda Rai cosa ne pensi? E quale può essere la funzione del servizio pubblico per contribuire alla crescita della coscienza civile su questi argomenti?
La tv può svolgere una funzione immensa. E questo chiama il servizio pubblico a una grande responsabilità. Da una parte ci sono gli spazi informativi di approfondimento, di ricostruzione e di inchiesta che sono insostituibili. La fiction ha una valenza particolare perché in questo caso lo spettatore è particolarmente aperto, ricettivo e in un certo senso “abbassa le difese critiche”. Per questa ragione chi realizza, produce e diffonde la fiction ha una grande responsabilità che non deve spaventare e che si accompagna alla grande opportunità di fare conoscere figure importanti. Incoraggiante ad esempio è lo straordinario successo che ha avuto il film televisivo dedicato a Paolo Borsellino che, oltretutto, è riuscito a intercettare un pubblico molto più giovane rispetto alla media degli spettatori che seguono la fiction.
Ci sono tematiche molto belle ed importanti su cui lavorare.
http://www.articolo21.org/2012/09/delitto-rostagno-benedetta-tobagiuna-storia-di-depistaggi-e-indifferenza/