1945-2015. A 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale Rai3 ricorda questo importante momento della storia del ‘900 con “D-Day”, un nuovo programma da studio condotto da Tommaso Cerno, giovane direttore del “Messaggero veneto” e firma de “l’Espresso”. Dal 27 marzo, in prima serata, quattro puntate interamente prodotte con risorse interne Rai, una sinergia tra la struttura Cultura e storia di Rai3 e il centro di produzione di Milano, che andranno a indagare momenti, snodi, aspetti poco noti della seconda guerra mondiale. “Dobbiamo partire dal tema della responsabilità individuale e collettiva – spiega Cerno al Radiocorriere Tv. “Non è vero che tutto ciò che è avvenuto era inevitabile e che noi siamo solo spettatori della storia”.
D-Day, il giorno decisivo. E’ uno in particolare o ce ne sono molteplici?
Ovviamente sono diversi ma soprattutto non sono quelli che crediamo. Ci siamo posti questa domanda: è più cruciale conoscere la data della morte di Mussolini o approfondire il momento della sua vita, magari studiato poco o niente, in cui dentro la sua testa si è reso conto che di lì a poco sarebbe deceduto? Noi siamo legati al calendario della storia e invece attraverso questo racconto noi focalizzeremo l’attenzione su ciò che è avvenuto “dentro” i protagonisti della storia, con i loro dubbi, le preoccupazioni, le sconfitte, gli amori… indipendentemente dal calendario. E invece di partire dall’inizio per arrivare alla fine facciamo il percorso contrario: partiamo dalla morte. Molti aspetti della storia si capiscono meglio andando a ritroso.
Cambia l’approccio? E’ un modo di leggere la storia con occhi diversi?
Sicuramente. Guardare un contributo filmato con gli occhi del 2015 ti consente di osservare aspetti che magari nel 1970 non hai inquadrato. La storia ci dà un contributo “fisso”, è il punto di vista che cambia. Il nostro racconto di Hitler e Mussolini è per forza contaminato dall’approccio e dal modo di pensare che l’uomo ha maturato a distanza di settant’anni. Siamo noi ad essere cambiati e guardiamo la storia con altri occhi. Così come si guarda la malattia dal punto di vista della medicina: la patologia è sempre la stessa ma tu la affronti in un altro modo.
La storia della guerra, del fascismo e del nazismo è una delle cose più studiate e raccontate della nostra contemporaneità. Anche in tv. Perché le abbiamo sviscerate così tanto e continuiamo a farlo?
Forse perché non abbiamo risolto un problema con noi stessi. Se è vero che tutto è finito settant’anni fa non si capisce come mai ogni volta che si parla di Hitler e Mussolini riaffiorino i fantasmi, i dubbi, il politicamente corretto, una certa retorica. Evidentemente abbiamo un conflitto non sanato. Se tutto fosse davvero concluso e archiviato settant’anni fa non staremmo qui a farci tante domande e faremmo solo una celebrazione di maniera.
Cos’è stato il fascismo?
Un gigante macabro, una ideologia elevata a culto che così come ha costruito una adesione quasi anestetica durante il suo sviluppo ha poi scaturito una repulsione altrettanto automatica e giustificata dai fatti.
Ci sono punti di contatto con l’attualità?
Io credo che nella storia le paure si siano sempre mantenute tali. E oggi, proprio perché le guerre, l’incertezza politica e la situazione generale del pianeta ti danno l’idea di non avere punti di riferimento, dobbiamo necessariamente domandarci quali sono gli strumenti che possano garantire l’esistenza di una democrazia. E ciò non riguarda solo la funzione del parlamento o la scelta delle leggi elettorali… Il senso di D-Day è anche quello di dire che nella storia basta un solo giorno per commettere un errore che peserà negli anni a venire e che soltanto la coscienza collettiva sarà il vero giudice. Tu puoi metterci tutti i meccanismi di controllo che vuoi ma a nulla servono se il paese è anestetizzato di fronte a ciò che accade. Quindi già il fatto di parlarne in maniera aperta e non retorica e porsi domande scomode su ciò che è avvenuto può essere dir per sé un antidoto affinché alcuni fatti non si ripetano.
Stanno scomparendo tutti i protagonisti di quegli anni. Come evitare il rischio di nuove forme di revisionismo storico o addirittura di negazionismo?
Credo che noi abbiamo un obbligo della memoria molto più forte proprio perché la testimonianza diretta viene lentamente meno. Questo è un paese dalla coscienza disperata con una nuova generazione priva di elementi diretti di conoscenza ma non priva delle paure di fondo.
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Articolo di Stefano Corradino pubblicato sul Radiocorriere Tv