Il pianista Danilo Rea (nella foto) è uno dei protagonisti dell’imminente edizione di Umbria Jazz Winter. Rea si sdoppia anzi si divincolerà in tre situazioni musicali diverse. La prima per rendere omaggio al grande pianista Renato Sellani, decano del jazz italiano ed internazionale.
Una performance non prevista nel cartellone iniziale.
Sellani doveva suonare ad Umbria Jazz Winter, era parte del cartellone. La sua scomparsa ha reso inevitabile dedicargli un tributo. E così, con Tullio De Piscopo e Massimo Morriconi abbiamo deciso di mettere in piedi un omaggio per questo grande musicista. Che per me era anche un grande amico nonché padrino di battesimo di mio figlio. L’ho incontrato poco prima che venisse a mancare. Ed era sempre di buon umore. Aveva un umorismo incrollabile anche nelle situazioni più difficili.
Poi il duetto con Paolo Fresu
Era da un po’ che non suonavamo insieme. Poi quest’anno il direttore artistico di Umbria Jazz ci ha chiamato per suonare insieme a “Ischia piano jazz” ed è stato un piacere ritrovarci dopo due anni. E così siamo stati “riconvocati” anche per questa edizione invernale.
Last but non least i Doctor 3, un gruppo storico. Nel reinterpretare in chiave jazz i brani di musica leggera siete stati pionieri di un genere. Avete da poco inciso un nuovo cd, cosa c’è di nuovo rispetto ai precedenti?
Direi che è un’evoluzione. E’ un disco che al di là degli assoli si costruisce intorno ai temi dei brani. Anni fa probabilmente non avremmo mai scelto un brano dei Bee Gees, magari potevamo arrivare ad Elton John ma “la Febbre del Sabato sera” ha fatto storia… La svolta quindi è un po’ quella di non porci più il problema del repertorio. E comunque Doctor 3 è stato un gruppo da sempre fortemente contaminato.
La crisi economica condiziona anche la musica e il mercato discografico. Qual è lo stato di salute del jazz oggi?
Il momento non è facile. Il jazz è una musica che vive sostanzialmente di contributi e in questa crisi difficile molti festival hanno chiuso per mancanza di fondi. Il jazz non gode pertanto di ottima salute nonostante il livello musicale italiano si afferma sempre di più nel mondo e i nostri musicisti sono sempre più apprezzati. Non che prima non lo fossero. Franco D’Andrea era un grande quaranta anni fa come lo è adesso. Diciamo che oggi ci sono molti più jazzisti che suonano, e molto più bravi. Se posso fare un appunto sul jazz, non solo italiano è che stenta a trovare modalità comunicative nuove con il rischio di non attrarre un nuovo pubblico, soprattutto giovane, e di restare appannaggio dei cultori del jazz.
Progetti futuri?
Sto facendo alcuni esperimenti di improvvisazione e contaminazione con la musica classica. In fondo i grandi musicisti classici improvvisavano quindi non faccio altro che ripristinare a modo mio un’usanza comune che apparteneva anche ai “classici”.
Intervista a cura di Stefano Corradino pubblicata sul Radiocorriere Tv