“Fuori servizio” recita un cartello sul primo che incontro, stessa cosa per il secondo. Continuo a camminare. Sono a metà treno. Sul terzo nessun cartello. E’ di buon auspicio. La porta però non si apre. Sul quarto manca la maniglia. Una signora sulla sessantina tiene in braccio una bambina. Ha smesso di piangere da poco. Gli occhi ancora inumiditi e la faccetta triste e rassegnata. “Resisti” le dice, “tra pochi minuti scendiamo“… Arrivo all’ultima carrozza, è quella di prima classe. Almeno qui che il biglietto costa di più, penso tra me e me – non che quello in seconda sia a buon mercato – il bagno sarà funzionante. Giro la maniglia, la porta si apre. Eureka! Ma l’esultanza dura poco. I sanitari sono inavvicinabili, non c’è nè acqua nè sapone, nè carta…
Quando parliamo di “equità” forse è proprio dai “cessi” che dovremmo partire, assumendoli a uno dei tanti simboli del degrado, dell’inciviltà e delle incolmabili forme di diseguaglianza del nostro Paese. Quando pochi giorni fa si è tenuto il debutto dei nuovi Frecciarossa, Trenitalia ha salutato il suo nuovo gioiello quasi fosse il simbolo di una rivoluzione socialista: si abbandona la storica distinzione tra prima e seconda classe e si introducono quattro diversi livelli di servizio “adatti a tutte le tasche”: Standard, Premium, Business ed Executive. Gli interni sono firmati Giugiaro, le poltrone ergonomiche con rivestimento in pelle, monitor, wi-fi, separé in cristallo. In executive il menu gourmet è firmato da Vissani. Tutto questo per la modica cifra di 200 euro.
In sintesi: i nostri treni sono uno specchio fedele del Paese: da una parte chi pasteggia a prodotti tipici e verdure fresche di stagione su un sedile reclinabile e dall’altra chi rischia di pisciarsi nei calzoni alla ricerca vana e disperata di un bagno.
P.S. Domani, 29 dicembre, i cittadini di Viareggio ricordano attraverso presidi e sit-in le vittime della strage ferroviaria che due anni e mezzo fa è costata la vita a 32 persone. Undici decedute nell’esplosione e nel seguente incendio e le altre ventuno per le ustioni, nei mesi successivi. Chiedono verità e giustizia. E chiedono anche il reintegro di Riccardo Antonini, il ferroviere licenziato per aver criticato l’amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti. Stessa sorte toccò al macchinista Dante De Angelis. Era il 2003. Nel corso della trasmissione Report denunciò la mancanza di sicurezza dei convogli Fs dopo che, nel giro di otto giorni si erano spezzati due treni. Invece di essere premiato o promosso per aver messo in guardia sui rischi per i passeggeri è stato, prontamente, vergognosamente, cacciato.