Storia di un’inchiesta scomoda
a cura di Stefano Corradino (www.raitre.rai.it)
Giovedì sera, in prima serata Raitre manda in onda “Ilaria Alpi – Il più crudele dei giorni“, il film sulla giornalista italiana morta in un agguato a Mogadiscio, capitale della Somalia il 20 marzo 1994. Ne parliamo con il regista Ferdinando Vicentini Orgnani.
Nel suo film si racconta l’ultimo mese di vita della giornalista e del cameraman Miran Hrovatin, dei loro spostamenti fra Italia, ex Jugoslavia e Somalia. Si procede su ricostruzioni basate su veri filmati della televisione americana e Svizzera, sui reportage di Ilaria, sulle testimonianze. Si può definire un film-inchiesta?Più che un film-inchiesta è la storia di un’inchiesta, realizzata da una donna, una giornalista appassionata alla ricerca della verità. Il film ripercorre solamente un aspetto, una parte di tutta vicenda, compiendo dei balzi in avanti e indietro nel tempo per cercare di colmare le molte lacune di questa storia. Ciò che io e Marcello Fois (co-sceneggiatore e autore dell’omonimo libro, ndr) abbiamo cercato di fare scrivendo questo film è attenerci alla documentazione.
Non c’è niente di inventato quindi.
Solo nella “forma”. Ad esempio quando si è trattato di spiegare come una specifica informazione fosse arrivata a Ilaria Alpi, ci siamo inventati che la fonte era un vecchio ambasciatore. Ma l’informazione era quella documentata. Sono libertà dovute all’esigenza di costruire un film, non proprio un’inchiesta.
Chi era Ilaria Alpi?
Una giornalista tenace e rigorosa nel lavoro. Che ha intuito l’esistenza di un traffico di armi e rifiuti tossici, svolti sotto la copertura degli aiuti e che è riuscita ad individuare anche chi stesse dietro alla vicenda, ma poco prima di mandare in onda il servizio con il quale svelava il caso, è stata uccisa insieme al cameraman.
Un omicidio che si poteva evitare?
Beh, se lei fosse stata più protetta e non avesse avuto due guardie del corpo scalcinate ma dieci, o cinque o anche quattro come i giornalisti della Cnn, forse ciò non sarebbe successo.
Un film impegnativo non solo per la delicatezza dell’argomento ma anche nella realizzazione e che vi ha esposto spesso a rischi reali.
E’ stato indubbiamente difficile realizzarlo. Perché è un film itinerante; parte da Trieste per andare in Slovenia, poi Roma, e in Marocco in due luoghi diversi, poi di nuovo Roma, Belgrado e ancora Trieste a girare nuovamente una scena che era venuta male. Un viaggio molto complicato anche da un punto di vista organizzativo per i continui cambiamenti delle troupe di supporto, gli adattamenti a situazioni nuove, la presenza di attori stranieri…
La presenza di attori somali ha rappresentato un problema. E’ vero che i somali contattati per entrare a far parte del cast hanno ricevuto continuamente pressioni e minacce?
Sì, coloro che intendevano avvicinarsi al film sono stati ripetutamente minacciati. Penso che questa vicenda rientri nell’ambito delle rivalità tribali della comunità somala. Fatto sta che a un certo punto l’intimazione pressante che circolava era “non dovete partecipare a questo film”.
Alcuni critici hanno definito il suo film come una pellicola di denuncia di “stile americano” nel suo tentativo di fornire una chiave di lettura documentata e rigorosa di una vicenda personale (e politica). Molti film hanno addirittura contribuito alla riapertura dei casi processuali, hanno mobilitato il mondo politico e la società civile. Pensa che il suo film (per quanto riguarda la vicenda di Ilaria Alpi) e in generale il cinema possa contribuire alla ricerca della verità?
Può contribuire. Sicuramente questo film è stato il motore e lo specchio di un ampio movimento di opinione che, dopo dieci anni dalla morte della giornalista, e una sola condanna peraltro inutile, chiedeva con tenacia di conoscere la verità. Il film in questo senso può rappresentare un piccolo contributo. Da qui ad arrivare alla denuncia o all’arresto dei mandanti o alla comprensione di questo fenomeno di corruzione e di sfruttamento nei confronti dei paesi del terzo mondo ce ne passa… Più che a quello americano però mi piace pensare che questo film si rifaccia al genere prettamente italiano. Penso ai film di Francesco Rosi o di Giuliano Montaldo. Una tradizione che poi in Italia è stata in qualche modo soppiantata dagli approfondimenti televisivi perché, purtroppo, il nostro cinema si è ridimensionato e quindi anche quella specifica e importantissima tradizione è andata morendo.
Come si è svolto il lavoro con gli attori protagonisti? Era una parte difficile. Come ci si sono calati?
Perfettamente. Rade Sherbedgia (“La Tregua“, “Eyes Wide Shut“, ndr) è stato il primo attore che ho scelto avendoci già lavorato e conoscendone le sue grandi qualità di interprete e la sua versatilità straordinaria con le lingue straniere. Giovanna Mezzogiorno (“La finestra di fronte“, “L’ultimo bacio“) è stata un’intuizione immediatamente successiva. Oltre ad avere indiscusse doti di attrice aveva l’immagine giusta per dare il volto a un personaggio come Ilaria. Un’attrice senza le labbra rifatte, una professionista con una assoluta discrezione nel lavoro, che cerca di sfuggire i pettegolezzi e le visibilità mondane.
Girare un film con un argomento così delicato deve essere stata un’esperienza importante anche dal punto di vista umano.
E’ così. Vai a toccare con mano una vicenda piena di misteri inquietanti e irrisolti. Una vicenda scomoda. E lo è tuttora dal momento che ho ricevuto tre querele (di cui una archiviata) e che restano una bella seccatura. E’ un film che va avanti nel tempo…
Giovedì il film è in prima serata su Raitre e ad aprile esce nelle sale a New York dopo essere stato acquistato da una distribuzione americana. Un bel successo.
E’ un’altra tappa significativa. Ma non è la prima volta che la pellicola supera i confini nazionali. E’ l’unico film che Raitrade ha venduto alla tv svedese. E’ uscito nelle sale in una ventina di paesi tra i quali Francia, Germania, Messico, Australia, Cina e credo che continuerà ad essere venduto. Anche in home video è andato bene e spero che in tv abbia un ottimo ascolto, anche perché credo sia tuttora perfettamente attinente con l’attualità.
Abbiamo parlato del cinema d’inchiesta. Cosa ne pensa invece della tv d’inchiesta? In Italia se ne fa abbastanza? E chi la fa adeguatamente?
Televisione di inchiesta di buon livello ce n’è. Penso ad esempio alla trasmissione della Gabanelli “Report” che ha fatto spesso inchieste straordinarie.