Si può essere al tempo stesso musicista classico, jazz, blues, rock, fusion ed eccellere in ogni genere? Normalmente no, a meno che non ti chiami Frank Zappa. Uno dei geni indiscussi del novecento. Cantante, chitarrista, compositore, direttore d’orchestra… Nel 2015 avrebbe settantacinque anni e non dubitiamo che ci avrebbe ancora sorpreso con la sua creatività incontenibile. A parlarci di lui è Stefano Bollani, artista altrettanto eclettico e che ad Umbria Jazz, il 12 luglio a Perugia, ha presentato il suo progetto musicale dedicato a Zappa. In attesa di rivederlo nel prossimo autunno su Rai3 con una nuova edizione di “Sostiene Bollani”.
Quando hai scoperto Frank Zappa?
Avevo diciassette anni quando in un negozio di dischi ho visto l’lp “Does Humor Belong in Music?” e l’ho comprato. Non sapevo di cosa si trattasse ma mi piaceva molto il titolo. E così ho scoperto questo musicista che riusciva non solo ad utilizzare tutte le musiche del mondo per crearne una propria ma addirittura usava lo humour di qualsiasi grana, la cattiveria, l’ironia, il sarcasmo, la parodia, la goliardia… Mi ha entusiasmato e l’ho ascoltato spesso negli anni ma ho aspettato un bel pò prima di fargli un omaggio perché non pensavo ce ne fosse bisogno. Poi ho scoperto che si poteva fare addirittura un disco intero.
La Fondazione di Zappa è piuttosto protettiva nei confronti delle sue opere. A te hanno concesso subito la possibilità di reinterpretarlo?
Considerano Zappa un compositore colto e quindi pretendono che la sua musica sia suonata nota per nota. Ma così facendo corri il rischio di trasformare uno come Zappa in una sorta di monumento che invece ha bisogno di essere vivo. La vedova deve averlo capito e per la prima volta ha dato, proprio a noi, il permesso di improvvisare sulla musica del marito.
Zappa era un artista fuori dagli schemi, un anarchico musicale come molti lo hanno definito. In che modo hai scelto di reinterpretarlo nel tuo disco?
Ho messo su un gruppo di improvvisatori e ho dato loro degli spunti. In concerto non facciamo neanche la scaletta. Li usiamo per improvvisare. Tra l’altro alcuni di loro non conoscevano le versioni originali di Zappa e così i brani erano freschi, come nuovi e diventavano un volano per inventare qualcos’altro.
Zappa era uno straordinario chitarrista ma nella tua band, creata per l’occasione, la chitarra non c’è. Ovviamente non è un caso…
No, non ci ho pensato neanche un secondo di inserire un chitarrista, mi sembrava non avesse senso. Chiunque avessi chiamato l’avrei messo in difficoltà perché si sarebbe subito fatto il paragone…
Quanto e in che modo Zappa si può considerare attuale dal punto di vista artistico?
E’ uno dei migliori esempi dell’artista che decide di vivere alla sua maniera, in barba a tutti. Potrebbe essere considerato un grande protagonista della storia del rock ma con gli altri rocker non ha nulla in comune perché non obbedisce ad alcuno stereotipo. Dopo aver ascoltato poche note capisci subito che si tratta di lui perché prende spunto da tutto per farne qualcosa di personale. Sempre contro le convenzioni ma costruendo qualcosa. Non è mai stato solo un distruttore, anzi. E’ uno che si siede, scrive senza sosta e poi passa otto ore a provare con i musicisti. Non è contro il sistema ma è a favore di un proprio sistema e lo reinventa da capo.
Ne parli al presente
Perché la sua arte è intensamente viva
Un po’ di quella sua follia ti appartiene?
Spero di sì…
Nella copertina del disco sei un po’ Frank, barba, occhio spiritato…
Di sicuro l’intenzione era rimandare a quel mondo lì. Erano begli anni. Io non c’ero, praticamente ero un bambino e Zappa purtroppo non ho potuto ascoltarlo dal vivo.
Restando in tema di melange di generi tu hai portato Zappa ad Umbria Jazz, un festival che negli anni ha acquisito un’identità plurale che mescola di tutto. E’ un fatto positivo o è una contaminazione rischiosa come qualche purista afferma?
L’incrocio di generi diversi è sempre un’esperienza positiva. A qualcuno il risultato può non piacere ma il compito di un festival dovrebbe essere proprio questo: creare incontri, sinergie, anche corrispondenze inaspettate, mettere insieme la stessa sera due gruppi che hanno ben poco a che vedere tra loro. Una volta ho visto insieme Tony Bennett ed Herbie Hancock, nulla di più lontano. Ma è così che si crea un cortocircuito virtuoso che dà un sapore diverso a una serata. Come far incontrare un ombrello e una macchina da cucire, dicevano i surrealisti. Penso ad esempio che il concerto più bello da vedere quest’anno ad Umbria Jazz sia quello di Caetano Veloso e Gilberto Gil. Non è il live jazz per eccellenza ma chi se ne frega!
Intervista di Stefano Corradino pubblicata sul Radiocorriere Tv