A due anni dal terremoto dell’Aquila 30mila persone continuano a vivere in case provvisorie o, addirittura, sono ancora ospiti in alberghi della costa. Le attività commerciali non sono ripartite e il centro storico è un corridoio buio e spettrale. Ma nessuno ne parla più, i media si sono dileguati, le telecamere sono ormai spente, telegiornali e programmi televisivi hanno abdicato all’idea di informare i cittadini sul dopo tragedia.
Cosa sappiamo della ricostruzione del capoluogo abruzzese? Ma non solo: che notizie abbiamo di Haiti a un anno e mezzo da un terremoto che ha causato oltre 220mila morti distruggendo case, chiese, scuole e infrastrutture? E quali sono i livelli di radiazioni raggiunti nella città di Tokyo a pochi mesi dal grave incidente alla centrale nucleare di Fukushima?
Si potrebbe andare avanti citando decine di avvenimenti che, sul momento, hanno mobilitato in massa giornalisti e teleoperatori ma poi, quando l’informazione diventa davvero indispensabile, per vigilare sulle mancate ricostruzioni, sugli appalti truccati, sulle facili speculazioni, sugli stanziamenti miliardari “incagliati” nelle maglie della burocrazia i riflettori si spengono. “Com’è andata a finire?” Potrebbe essere un buon titolo per una trasmissione televisiva o uno spazio di approfondimento al posto di una delle tante repliche estive. Ma dovrebbe essere innanzitutto un dovere etico e morale di chi fa informazione: quello di non cancellare la memoria, quantomeno per non uccidere i morti una seconda volta.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/08/03/laquila-haiti-fukushima-come-andata-a-finire/149476/