Mentre i partiti e le coalizioni si mettono d’accordo su che forma di governo dare a questo sinistrato Paese noi raccontiamo un’Italia che tutti i giorni deve fare i conti con le urgenze quotidiane, i consumi, le bollette, le pensioni, il lavoro, la precarietà, la disoccupazione». Così Giovanni Anversa, giornalista e autore televisivo presenta “Paese reale”, il nuovo programma da lui condotto il sabato mattina alle 9.15 su Rai3. Una finestra in diretta sui temi di attualità che interessano da vicino i cittadini e che spesso sfuggono al dibattito politico televisivo.
Partiamo dal titolo, “Paese reale”. Un modo per distinguersi dalla tradizionale rappresentazione della realtà in tv?
Lo abbiamo scelto per rispondere al bisogno di superare un’idea di tv che fosse unicamente centrata sul dibattito politico. Ci siamo detti: diamoci un titolo che sia anche un impegno, una parola d’ordine. Rappresentiamo una realtà non ricostruita, non mediata e trasferita da altri, come spesso accade nel dibattito televisivo dove c’è sempre qualcun altro che parla del Paese reale, lo invoca, lo sollecita, lo racconta. Volevamo far sì che fosse il Paese stesso a parlare, proporre, denunciare. E così è stato e per la verità non facciamo neanche molta fatica a trovare storie ed esperienze perché sono loro che ci vengono direttamente a cercare. Spesso in trasmissione arrivano le persone che ci hanno scritto o telefonato. Una grande opportunità che ha la tv pubblica è quella di far entrare la realtà attraverso facce, storie vere e credibili. Persone autentiche non frutto di casting.
Se c’è un “Paese reale” ce ne sarà anche uno “irreale”. In che modo il primo si contrappone al secondo?
Il Paese irreale è gran parte quello che dal lunedì al venerdì si vede in tv, quello che si parla addosso e che lascia spesso interdetti per quanto è incentrato su se stesso e non attento sulla realtà. A qualcuno piace sentire la piazza arrabbiata che denuncia e protesta, ma alla fine il dibattito è sempre tra chi, nel paese irreale, fa opera di mediazione politica, istituzionale, sindacale, imprenditoriale… Rompere questo circolo vizioso è la nostra ambizione principale.
Chi è il telespettatore delle 9.15 del sabato mattina?
Un pubblico difficile da catturare anche per una fruizione diversa della tv dal resto della settimana. Il sabato mattina rappresenta un po’ una frattura. Il sabato fai altre cose, se puoi, dormi anche di più… Quindi per noi è una sfida perché devi catturare l’attenzione in un momento in cui la tensione, sul finire della settimana, è relativa e c’è una propensione all’ascolto meno impegnata. Ma la sfida l’abbiamo accettata e ogni settimana ci portiamo a casa quasi un punto percentuale che riteniamo sia un grande successo.
Il suo non è un programma che rincorre la notizia, però trasmettete in diretta e quindi siete nelle condizioni di incalzare l’attualità.
Cerchiamo di ridare voce a un’attualità “sotto traccia” piuttosto che subirne l’agenda. Ci rendiamo conto che, mentre tutti parlano dei risultati elettorali, del nuovo governo o del Movimento 5 Stelle, è la gente stessa che fa fatica a risintonizzarsi su un’attualità legata ai problemi di tutti i giorni. Però sentiamo il pressante bisogno di parlare di lavoratori in cassa integrazione, pensionati al minimo, del precariato, di chi perde il lavoro a quaranta o cinquant’anni e non sa come ricollocarsi. Anche noi raccontiamo l’economia e la politica, ma cerchiamo di farlo dal punto di vista della gente. Ad esempio, recentemente, abbiamo parlato di affidamento familiare: famiglie in difficoltà che vengono sostenute economicamente da altre in condizioni migliori. Come si faceva una volta con i cosiddetti “vincoli di solidarietà”.
In conferenza stampa lei ha detto che “Paese reale” è una sorta di Portobello. Cos’ha in comune con lo storico programma di Tortora?
L’idea di far convivere molte cose nella stessa puntata, da una denuncia a un’idea originale, e la possibilità di mettere in relazione persone e storie attraverso un centralino. In una puntata abbiamo parlato del “prestito della speranza”: avevamo in studio un operatore della Caritas di Vicenza che parlava delle forme di microcredito a sostegno delle famiglie. Ci ha chiamato un signore dalla Puglia che non era riuscito ad ottenere il prestito e alla fine della trasmissione l’operatore della Caritas si è messo in contatto con lui per capire in che termini poteva aiutarlo. Questo è un po’il nostro Portobello, una piazza dove si incontrano domanda e offerta, bisogni e risposte.
Internet è il mezzo migliore oggi per mettere rapidamente in contatto le persone. Ne approfitta?
Ovviamente sì, la rete è indispensabile e utilissima. La Rai nel suo complesso ha capito che è necessario dare a questi nuovi mezzi un protagonismo diverso. Non c’è trasmissione, in questo momento, che non abbia attenzione per la comunicazione web e che non si faccia condizionare dalle reazioni della rete.
Domanda all’Anversa sociologo più che conduttore. In che misura queste nuove forme di comunicazione che intrecciano tv, internet e social network condizionano il telespettatore?
Lo spettatore non è più un fruitore passivo o un’entità su cui fare operazioni “proiettive”. Chi fa televisione è sottoposto ad una sorta di controllo in presa diretta, si misura con persone che in quel momento stanno valutando e sono in grado di intervenire. E non solo per scegliere un cantante con il televoto…
Questo aumenta la responsabilità del conduttore?
Non c’è dubbio. Qualcuno in tempo reale ti può contestare che stai dicendo una sciocchezza. Come conduttore sei continuamente in relazione con un corpo vivo dal punto di vista comunicativo, soprattutto se vai in diretta. Occorre quindi essere adeguati anche all’evoluzione dei tempi. Molti di noi sono “obsoleti” di fronte ai nuovi mezzi ed è necessario essere capaci di utilizzare, frequentare i nuovi linguaggi e saperli vivere.
In tv ci sono temi tabu?
Alcuni sì. Penso a quello dei migranti, i “nuovi italiani”. Un tema di difficile fruizione perché siamo così concentrati su noi stessi e sulle priorità della nostra vita che l’altro da noi lo viviamo come un disturbo, un problema, una minaccia. Un tabù che però noi infrangiamo sempre perche lo riteniamo prioritario…
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