Con ventisette anni di età “Un giorno in pretura” è la trasmissione più longeva della terza rete Rai. Ideata, diretta e presentata da Roberta Petrelluzzi in questo lungo percorso ha seguito i più grandi processi italiani: Sergio Cusani sull’affare Enimont, processo-simbolo di Tangentopoli, Erich Priebke per l’eccidio delle Fosse Ardeatine, i delitti del mostro di Firenze, il massacratore del Circeo Angelo Izzo, quelli per estorsione contro Fabrizio Corona, e contro Luciano Moggi sullo scandalo di Calciopoli, il processo ai componenti delle forze dell’ordine per i fatti del G8 di Genova e quelli per le morti di Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi. Questi solo per citarne alcuni. Con la conduttrice Petrelluzzi ripercorriamo alcune fasi salienti del programma con uno sguardo all’edizione appena iniziata, (“che farà discutere” come ci anticipa l’autrice) in onda ogni sabato alle 23.55 su Rai3.
Ventisette anni per una trasmissione è un traguardo quasi impossibile. Qual è la formula della vostra longevità?
Raccontiamo la realtà dell’Italia. E nei processi, quando si narrano ad esempio fatti di sangue, emergono le parti più profonde degli esseri umani. E questo porta i telespettatori a discutere, parteggiare, perfino litigare in famiglia davanti alla tv.
Com’è cambiato il programma in questo lungo arco di tempo?
Inizialmente siamo partiti come testimoni, dei veri e propri notai delle aule di giustizia nelle quali registravamo i processi senza fare alcun intervento esterno. Raccontavamo il processo dall’inizio alla fine. Questa formula ha funzionato molto bene per molti anni perché rappresentava una novità (e la tv era molto più lenta). Col passare degli anni ci siamo resi conto che questo meccanismo non reggeva più anche perché la visione televisiva era più distratta, c’era meno concentrazione a lungo termine. Abbiamo quindi ravvisato l’esigenza di aiutare i telespettatori nella comprensione, scrivendo vere e proprie piccole sceneggiature, costruendo il giallo, le prove a favore e a discarico, mettendo più in evidenza le tesi accusatorie contrapponendole a quelle difensive. Una formula sicuramente più faticosa da costruire e che necessita di maggiore preparazione e attenzione, ma è l’unica possibile per rendere un processo leggibile.
Tra i tanti processi di cui vi siete occupati ce n’è uno che lei ha sentito maggiormente?
Quello che mi è rimasto più impresso fu quello al figlio di un architetto famoso, Quaroni. Lui uccise la madre. In una lunga confessione aveva raccontato il perché di questa follia. Non voleva sfuggire alla pena, non c’era furbizia nella sua esposizione ma solo il desiderio, di una persona sinceramente addolorata, di raccontare ciò che aveva fatto. Processi di quella intensità non ricordo di averne mai più fatti.
Lo scorso anno avete portato sul piccolo schermo anche il processo sull’omicidio del giornalista Mauro Rostagno. Ci sono voluti svariati anni per arrivare alla sentenza di primo grado…
Ben venti e questo rivela un fatto inequivocabile: la giustizia è troppo lenta, quasi eterna. I processi non si chiudono mai, rimane sempre uno spiraglio. La giustizia non deve fare la storia ma deve essere rapida nel dare delle risposte e nel riuscire a tranquillizzare l’opinione pubblica. E quando arriva così tardi, come nel caso Rostagno, rimane sempre il dubbio che ci sia sempre qualcosa dietro anche se tutto è stato detto.
In queste settimane le cronache televisive e dei giornali si stanno occupando del processo su “Mafia capitale”. E’ materia viva per “Un giorno in pretura”?
E’ un argomento sicuramente importante, attuale e appassionante. Ma come fai a fare in televisione un processo su Mafia Capitale con decine di imputati? Rischi di colpire nel mucchio, di alimentare populismi, moralismi, giustizialismi. Ti ci vorrebbero due anni e almeno venti puntate. Anche perché quando arrivi a trasmetterli, dopo averli finiti e montati, sarà passato del tempo e magari su quella determinata vicenda ci saranno altri elementi che renderanno quel processo in tv ben poco attuale.
Ci dà un’anticipazione delle prossime puntate?
Ci occuperemo del caso Tarantini e del processo sull’induzione alla prostituzione. Una storia molto italiana, di vizi e debolezze. Più leggera rispetto ad altre ma ovviamente con tante implicazioni e sfaccettature. Sono sicura che farà discutete molto…
Intervista a cura di Stefano Corradino pubblicata sul Radiocorriere Tv