La Corte d’Appello di Napoli ha disposto il reintegro dei cinque operai dello stabilimento Fca di Pomigliano d’Arco (Napoli), che erano stati licenziati tre anni fa in seguito ad una manifestazione ritenuta offensiva dai vertici aziendali. Una vicenda che è stata quasi del tutto ignorata (fatta eccezione per i quotidiani “Il Manifesto”, “Il Fatto Quotidiano” e pochi giornali locali campani) forse perché riguarda gli articoli 1 e 21 della Costituzione che sembrano andare poco di moda di questi tempi…
Ne abbiamo parlato con Ascanio Celestini che insieme a Moni Ovadia e alla giornalista Francesca Fornario hanno preso a cuore la vicenda e la sorte dei cinque operai il cui unico torto è stato quello di difendere il diritto al lavoro e alla libertà di espressione. E di non dimenticare altri operai che si sono uccisi. Dopo che la precarietà aveva negato loro il diritto ad un’esistenza dignitosa.
Ascanio perché hai ritenuto importante impegnarti in prima persona a fianco degli operai di Pomigliano d’Arco?
Mi hanno cercato per raccontarmi una storia che sui giornali praticamente era invisibile e per quel poco che si intravedeva era poco comprensibile. Invece loro hanno saputo raccontarla in maniera chiarissima. Il padrone come il re del Carnevale viene ucciso da sempre nella sua forma di pupazzo. Ma qui è un’altra cosa. In quest’epoca non si uccide, questa è l’epoca del suicidio. Lo è più che nel passato. Ci si uccide accettando di non lavorare condannati alla cassa integrazione, ci si uccide accettando la diminuzione dello stipendio, l’obbligatorietà dello straordinario. E poi ci si uccide per davvero togliendosi la vita.
Vedere Marchionne impiccato non è stato un atto di violenza. Quel pupazzo segnala un livello di coscienza altissimo. E non soltanto per quanto riguarda la lotta operaia, ma anche per la sua rappresentazione artistica.
Questa storia chiama in causa direttamente anche l’articolo 21 della Costituzione?
Sì, ma non solo. Significa che la lotta può passare anche attraverso dei segni e non solo attraverso la lotta tradizionale. Quante volte sentiamo politici e gente comune lamentarsi per le città che vengono bloccate dai cortei o i mezzi pubblici fermi per gli scioperi? Sono manifestazioni di lotta che, per l’ignoranza di alcuni e la strategia di altri, possono anche ritorcersi contro gli stessi lavoratori. Nel caso dei lavoratori di Pomigliano è stato messo in scena il diritto alla vita e alla dignità.
La sentenza che ha riammesso i lavoratori in fabbrica può rappresentare un precedente importante anche per altri lavoratori che denunciano le condizioni di vita precarie nei luoghi di lavoro?
Spero di sì. Per i lavoratori e per gli studenti. Briatore ci parla di una crisi planetaria che colpisce anche Dubai. Dice che il mestiere del cameriere è dignitoso. Che più che di laureati (lui fa l’esempio dei commercialisti…) abbiamo bisogno di persone che servono ai tavoli. Lui vede il mondo dall’alto e ha presente soprattutto i meccanismi che muovono il formicaio, ma con uno sguardo del genere tutte le formiche diventano uguali nella maniera peggiore: non distingui più una dall’altra. Le formiche devono fermarsi, ripartire, andare contromano. Devono dimostrare che non esiste una formica identica all’altra.
Una società nella quale la logica del profitto è sempre più schiacciante rischia di minare progressivamente i diritti e la dignità dei lavoratori?
Li sta minando da diversi anni. Molte delle lotte sono spesso un modo per arginare la deriva. E già è molto importante che accada questo. Bisogna ridimensionare il padrone. Mostrargli che non ha diritto di essere più grande di una formica, che non è più lungo di un paio di centimetri anche se cerca di allungare la lingua come un formichiere.
Per quale ragione di questa vicenda i media non se ne sono occupati?
Ci sono licenziamenti e suicidi, potrebbe essere una notizia appetibile, ma poi dovrebbero far sapere che una multinazionale nel nostro paese mette in piedi un reparto confine…
Intervista a cura di Stefano Corradino pubblicata su www.articolo21.org