“La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio…” E’ l’incipit della legge, approvata il 20 luglio 2000 che definisce le finalità del Giorno della Memoria. Con Furio Colombo (nella foto), principale promotore della proposta di legge, il Radiocorriere Tv discute del valore della memoria e del rischio di rigurgiti razzisti e xenofobi dopo i tragici fatti di Parigi.
Che valore assume la Giornata della Memoria in un momento tragico come questo conseguente alla strage di Parigi?
Io non credo di poter reclamare, dai fatti di Charlie Hebdo, un significato in più per il giorno della memoria. Questa è gente che ricorda benissimo, che sa le cose così come sono e che rivendica le proprie ragioni in quello strano e misterioso labirinto che è il mondo che genera il terrorismo. Non si tratta della follia di un oblio ma di determinati scontri, di quegli oggetti duri che sono i fatti della storia e che sono ciascuno in profondo contrasto l’uno con l’altro. Tutto questa si spiega sul piano degli eventi che accadono oggi, nel momento in cui li stiamo vivendo, e quindi non direi, parlando della strage di Parigi “ecco cosa succede a perdere la memoria”…
Tu sei il primo firmatario della legge che ha istituito la giornata della memoria. Come fare a rendere questo giorno una cosa viva e non un esercizio didattico o una commemorazione retorica?
E’ un rischio che si corre sempre. Ogni cosa, compresa la predicazione delle scritture per le varie religioni o la rappresentazione della bellezza per le opere d’arte o poetiche è affidata sempre nelle mani di coloro che la ricevono. Il Giorno della Memoria è stato concepito come un atto di formazione, di educazione e di orientamento per i più giovani a entrare nel mondo in cui sono destinati a vivere e operare, ed è stato consegnato a coloro che li devono orientare. Nell’esperienza fatta in questi anni sul Giorno della Memoria sono stato testimone di iniziative molto belle, coraggiose e prive di ripetizione retorica, altre purtroppo risentono di quel tanto di ritualità che ha sempre circondato, e messo in pericolo, le ricorrenze dei grandi fatti della vita. Del resto non abbiamo uno strumento diverso per orientare le nuove generazioni che arrivano nel cerchio della nostra vita comune. Insegnare è l’unico strumento, far sapere e ricordare. E’ un compito che viene messo nelle mani di alcuni con la trepida speranza che venga realizzato con bravura.
L’informazione assolve degnamente a questo scopo? Coglie la memoria come valore per affrontare il presente o è ineluttabilmente schiacciata sull’attualità?
È naturale che media e giornali siano legati alla contingenza dell’attualità e che debbano esercitare una dilatazione dei propri limiti naturali quotidiani, sia quando si tratta di raccontare episodi o di sostare sulla memoria degli eventi. Non c’è dubbio che per i media si tratti di uno sforzo impegnativo. Ma l’elemento principale di timore e di ansietà sta nel fatto che gran parte dei media hanno svalutato se stessi negli ultimi anni, negando notizie, alterando informazioni, lasciandosi utilizzare per la celebrazione di fatti non veri, sbagliati, o di leader che volevano informazioni a loro servizio. Questa svalutazione pesa enormemente sulla notizia, al punto che la maggior parte delle persone crede davvero e fermamente agli eventi soltanto mentre li vede accadere sotto i suoi occhi, in diretta. E se così non è rimane avvolta da una sorta di scetticismo e distanza. “Chissà cosa è veramente accaduto”, “Vatti a fidare”…
Negli ultimi anni, in molti paesi europei c’è stata una innegabile crescita di forze politiche reazionarie e in alcuni casi di matrice xenofoba. I fatti di Parigi rischiano di farle lievitare ulteriormente?
Una parte dell’estrema destra più cieca ha pensato dopo la strage di Parigi di potersi leccare i baffi ma è successo qualcosa che non avevano previsto: la risposta della Francia e dei parigini che hanno svegliato con forza una languida e dormiente democrazia europea. A chi invocava la chiusura delle frontiere o pensava che ributtare immigrati in mare fosse un servizio in più reso alla causa della sicurezza hanno risposto due milioni di persone in piazza a Parigi che si sono strette intorno a una precisa parola d’ordine: solidarietà.
Torniamo, per concludere, alla giornata della memoria. Pochi giorni fa se ne è andato Francesco Rosi, padre e maestro del cinema d’inchiesta. L’ultimo film da lui diretto è stato “La Tregua” tratto dal capolavoro di Primo Levi. Un film che il tema della memoria lo ha affrontato in profondità
Con profondità e una sensibilità straordinaria. E’ l’opera di un regista che ha letto, capito, assorbito, incorporato fisicamente e psichicamente l’opera dello scrittore e partigiano torinese. Il suo film è anche una prova della sua onestà e fedeltà ai valori portanti della sua vita. Non avendo vissuto la Shoah, Rosi ha voluto far parlare i sopravvissuti e portare sul grande schermo una delle voci più vive e vibranti che il mondo ha avuto in eredità, quella di Primo Levi. E il film grazie ai suoi pregevoli attori e ai milioni di spettatori che lo hanno visto è diventato così fatto e memoria.
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Intervista di Stefano Corradino pubblicata sul Radiocorriere Tv