Il silenzio ha la voce di Judith
Quando si pensa ad uno studio di registrazione viene in mente un luogo asettico, costruito nel garage insonorizzato di una città tormentata dai rumori del traffico e dalle ansie frenetiche della vita quotidiana. E se qualcuno scegliesse di realizzarlo nel totale isolamento? Magari in una casa di campagna? Che ti aiuta a trovare l’equilibrio, tra i profumi di lavanda e i versi delle cicale? C’è chi lo ha fatto. Scegliendo di trovare l’ispirazione nel verde delle colline per comporre i versi di una canzone o le pagine di un racconto. Lei è Judith Berard. Cantante, musicista, attrice. Canadese di origine. Oggi italiana di adozione. “Gli italiani quando si svegliano in questi luoghi avvolti da una luce arancione e dorata dovrebbero essere riconoscenti per questa autentica forza della natura. E l’Umbria, dove oggi vivo e’ una terra dolce, sensuale”. Come la sua voce. La incontriamo in una mattina d’estate, nella sua casa immersa nel verde intenso delle campagne orvietane, fra alberi di olivo e vigneti. Solare e sorridente. Parla in italiano ormai con disinvoltura. Le piace comunicare ma senza retorica. Senza parole di troppo come recita il titolo di una sua canzone, “Les mots de trop”: “si corre contro il tempo affinché il tempo non corra via… Tre minuti di silenzio per dirsi che non siamo soli e che il mondo è immenso…”
Ci piace pensare a questa canzone come ad un inno alla filosofia slow…
Judith, la tua carriera artistica è iniziata molto presto. Già all’età di nove anni cantavi per la tv in occasione dell’anno internazionale per i bambini.
Ho iniziato con la tv, affiancata da una donna, un’agente di casting che e’ stata un pò come una seconda madre oltre che il manager più importante. Quando avevo 21 anni lei si era accorta della mia voce e mi ha fatto incontrare una persona chiave per il mio futuro.
La vita e’ fatta di incontri che quando meno te l’aspetti ti cambiano la vita stessa…
Ho sempre vissuto nella consapevolezza che allorché un treno giusto mi fosse passato davanti sarei stata pronta a salirci su. O meglio ancora che quando lo avessi scorto all’orizzonte mi sarei affrettata a raggiungerlo. Non bisogna aspettare che gli eventi si determinino ma cercare di essere artefici e protagonisti del proprio destino. Quando avevo 17 anni abitavamo dietro la montagna. Il sole che tramontava tra le vette era una fonte di ispirazione naturale. E avendo lasciato presto la scuola trascorrevo le mie giornate a scrivere. Guardavo il tramonto e mi dicevo: “preparati, il sole sta scomparendo, si avvicina un nuovo giorno… “E’ stata da sempre la mia filosofia di vita: la volontà di prepararmi costantemente per il futuro, per le nuove sfide.
Generalmente i talenti precoci durano poco. Tu invece hai continuato ad avere successo negli anni. Questo perché ti sei saputa sempre rinnovare sperimentando vari ruoli? Cantante, musicista, autrice, attrice…
Mi ha sempre affascinato l’idea di trovare nuove forme di espressione, nuovi linguaggi. Ma mentre facevo corsi privati di canto e danza coltivavo in segreto il sogno di scrivere testi. Nel frattempo il cinema. Ma nel ruolo di donna sexy e cattiva, quella che rubava i fidanzati… non mi sentivo granché a mio agio. Quell’immagine di me in realtà non ero io. Sentivo il bisogno di calarmi in ruolo più profondo, più intimo. E così la mia agente di casting, che aveva compreso bene questa mia necessità mi ha fatto incontrare Luc Plamondon (Notre Dame de Paris, ndr) ed è così che ho esordito nel musical. Poi è stata la volta di un’altra commedia musicale, Giovanna d’Arco…
Nel frattempo però il telefono continuava a suonare e ti proponevano ancora nel ruolo di “bella e dannata”…
Ed io rifiutavo, dicevo chiaramente di no. Qualche volte ho pensato di essere pazza rifiutando ruoli che avrebbero potuto darmi un successo e una notorietà immediata ma non era quello che volevo. Sentivo di dover fare un percorso artistico diverso, magari più difficile ma sicuramente più appagante; e non volevo scendere a patti… E’ stata una battaglia continua, una strada irta di ostacoli ma non volevo svegliarmi a trent’anni prigioniera di un’immagine che non mi apparteneva. E che sarebbe stato molto difficile cambiare.
C’è un genere musicale o un artista che ti ha maggiormente influenzato? Dal punto di vista musicale ma anche umano…
Peter Gabriel, un vero e proprio guru per me da quando avevo 17 anni. Il fulgido esempio di un uomo che ha usato il suo successo per migliorare le cose nel mondo. Ha fondato la casa discografica Real World e ha dato una chance importante a tanti artisti africani che altrimenti non sarebbero mai stati in grado di incidere un disco. Scatenato sul palcoscenico, in realtà e’ una persona umile. Intelligente, serissimo, nella vita di tutti i giorni. C’è chi pensa che per essere al top bisogna fare uso continuo di droghe o di alcool. Gabriel è la dimostrazione vivente che non serve “alterarsi” per essere grandi….
Sembri conoscerlo bene.
Ho avuto la fortuna di incontrarlo a Parigi e di passare alcune ore insieme a lui. E’ stato uno dei momenti piu’ belli della mia vita, un’emozione fortissima, maggiore di quanto avessi immaginato.
Cosa ti ha trasmesso in particolare?
La consapevolezza che un’artista deve essere un veicolo. E confrontarsi continuamente. Per questo amo molto collaborare con altri. Anche per migliorare me stessa.
Tu sei un’artista affermata e apprezzata. Dalla critica e dal pubblico. Ma non sei una “pop star”… Probabilmente perché le tue scelte artistiche sono state legate più a un tuo percorso professionale individuale, di ricerca piuttosto che alla voglia di lasciarti andare a logiche puramente commerciali. E’ così? Pensi che al giorno d’oggi un musicista debba necessariamente diventare commerciale o è più importante, come hai fatto tu, non “svendersi” e selezionare con cura le proprie scelte artistiche?
Beh, siamo sinceri, il mercato fa parte dello spettacolo. E’ un gioco che mi diverte, amo la gente, amo fare interviste, promuovere un disco, tutto questo e’ stato sempre un piacere per me. E il fatto che continuo a considerarlo una sorta di gioco. Le luci del palcoscenico possono essere una droga e non voglio dipendere dal successo.
Una visione molto equilibrata…
Lo è stata la mia gioventù. Equilibrata, solida, educata nei valori più importanti della vita. Grazie ai miei genitori. E soprattutto a mia madre, una donna straordinaria.
Hai detto di aver iniziato a scrivere a 17 anni. Ispirata dai tramonti e dai paesaggi intorno a te. Crescendo, quali sono le altre tue fonti di ispirazione e i temi a cui ti sei accostata?
Ogni tanto rileggo i testi che avevo scritto allora e, non vorrei sembrare presuntuosa, ma mi stupisce la serietà e la lucidità che avevo a quell’età. Cosa mi interessava? Il mondo, pensare al futuro del pianeta, alle difficoltà quotidiane di chi vive in condizioni di povertà. Ma al tempo stesso cercavo anche di mantenere uno spirito ironico, più leggero, positivo. Altrimenti si corre il rischio di diventare apocalittici!
Hai scelto di vivere in Umbria. E in campagna, come tra l’altro ha fatto proprio Peter Gabriel, hai aperto uno studio di registrazione. L’Umbria è il cuore verde dell’Italia. Una regione in cui spesso si ha la sensazione che il tempo si fermi, nel silenzio e nella tranquillità di un paesaggio che sembra impenetrabile ai ritmi forsennati della società moderna. Ci sono delle similitudini con il Canada, il tuo paese di origine?
Ci sono tante differenze. Ma la dimensione di tranquillità un po’ me lo ricorda il mio Canada. Questa è una terra generosa. Se mangi le ciliegie e sputi i noccioli lontano prima o poi in quel luogo crescerà un albero… Gli italiani, quando si svegliano in questi luoghi avvolti da una luce arancione e dorata, dovrebbero essere riconoscenti per questa autentica forza della natura. Il Canada e’ una terra più arida, più fredda, fatta di inverni lunghi. L’Umbria e’ una terra dolce, sensuale, che ti accarezza il corpo al risveglio. L’Umbria ha risvegliato la donna che è in me, ho lasciato crescere i capelli, ho scoperto ed amato il cibo di questa terra. E’ stata una vera e propria esplosione dei sensi.
La rivista che ti sta intervistando ha sposato un filosofia precisa, un approccio slow. Che non significa essere “lenti”, ma piuttosto saper apprezzare fino in fondo la vita. Soddisfare i sensi profondamente. Il gusto, la vista, il tatto, l’udito, l’olfatto… Non divorare la vita ma assaporarla lentamente in tutti i suoi aspetti. Condividi questa filosofia?
Assolutamente. Vivendo vicino alla terra e avendo un’azienda che produce olio d’oliva ne capisci i ritmi e la terra ti indica la strada giusta. Ci vuole tempo, per far crescere un albero. Ci vuole sole, acqua., vento… Se vivi tutto questo è perchè scegli di non farti condizionare dalla voracità della vita… Nelle grandi città spesso la gente sembra infelice, perennemente ansiosa, senza neanche sapere perché e dove risiede la loro tristezza, e la loro latente depressione…
Quali luoghi ami in particolare tra le piccole realtà dell’Umbria?
La prima città che mi ha colpito e’ Civita di Bagnoregio, la città che muore… Un gioiello rarissimo, sospeso fra cielo e terra … Poi c’e’ naturalmente Orvieto. Il sabato mattina vado a correre lungo le mura e mi sento fortunata, felice. Poi dopo vado al mercato in piazza del popolo, ci vado per comprare il miele. Adoro quel lento viavai di persone. E poi arrivo al bar Montanucci, immancabile l’appuntamento con cappuccino e cornetto.
Ti piace conoscere il mondo. Che tipo di viaggiatrice sei?
Mi piace calarmi completamente nella realtà che incontro. Per questo ad esempio porto pochissimi vestiti e li compro sul luogo. Se andassi in India, un viaggio che vorrei fare, la mia valigia sarebbe vuota. Andrei al mercato e mi vestirei come si vestono loro, per sentire quella cultura sulla mia pelle. Abbandonarmi, quasi dimenticando chi sono, e sentirmi del tutto assorbita da un’altra dimensione
Cosa non manca nella tua valigia?
Un sacchetto di lavanda fresco. Mi dà un senso di pulito, di freschezza, di pace.
Spegniamo i microfoni. Prima di ripartire, Judith ci regala un sacchetto verde di lavanda profumatissima, appena colta dal suo giardino. Mi scorrono nella mente i versi di un grande cantante poeta canadese, Leonard Cohen: “…guardo il mondo in piedi vicino alla finestra, orgoglioso e abbandonato alla bellezza…”
(Stefano Corradino – “Viaggiando”)
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