Una prostituta di settantuno anni e una di diciassette. Un’eremita che vive in una grotta alle porte di Roma. Un grande poeta dimenticato che vive nella Capitale in una sorta di baracca… Sono alcune delle storie che Domenico Iannacone, dopo la straordinaria miniserie su Roma e Milano ha deciso di narrare nel nuovo ciclo di quattro puntate dei “Dieci Comandamenti” in onda da venerdì 16 ottobre in seconda serata su Rai3.
Due storie per ogni puntata della durata di cinquanta minuti. “Sono inchieste morali – spiega l’autore al Radiocorriere Tv – che raccontano più dell’animo che dei luoghi…”
Partiamo dalla prima puntata sulla prostituta settantunenne e dal titolo che hai deciso di dare: “la scelta”.
Raccontiamo due storie che implicano delle scelte, ovviamente non facili. L’anziana prostituta di cui parliamo svolge la sua attività in un camper. Ho girato con lei ed è stato un viaggio intimo straordinario per capire chi fosse, per scavare nella sua storia e nella sua scelta. Ovviamente non mi interessava affatto l’aspetto “pruriginoso” della sua attività.
In ogni puntata le storie sono due, una che fa da contraltare all’altra, due facce della stessa medaglia. Chi è l’altro personaggio?
Un’eremita che vive in una sorta di caverna in tufo, senza elettricità, nei pressi di Tivoli. Un uomo dolcissimo che vive in una dimensione ascetica sganciata dal mondo ed è molto rispettoso delle persone e delle cose. E c’è un aspetto non trascurabile della sua vita: lui è il figlio di Amerigo Dumini, il responsabile dell’assassinio di Giacomo Matteotti.
Come lo hai scoperto?
Per caso, facendo delle ricerche. Il cognome ovviamente mi suggeriva qualcosa. E quando mi sono avvicinato a lui e gli ho chiesto se fosse proprio il figlio di Amerigo lui ha confermato.
Del padre ne avete parlato?
Sì, abbiamo ripercorso la storia della sua vita da quando a otto anni, orfano della madre fu messo in collegio nel periodo in cui il padre era in carcere. Con il padre ha avuto sempre un rapporto molto conflittuale. Lo ricorda come un uomo autoritario e rigoroso. I pantaloni dovevano essere perfettamente stirati con la riga ben definita al centro…
Dell’omicidio di Matteotti ha detto qualcosa?
Che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli. Poi gli ho domandato se lui farebbe mai del male a qualcuno e mi ha risposto: “solo per proteggere i più deboli”.
La sua scelta ascetica è una fuga da una storia familiare così pesante?
No, è una sorta di inciampo. Avendo avuto un’infanzia difficile probabilmente ha cercato altrove degli affetti, in un’altra dimensione della sua esistenza. La grotta dove vive lui la chiamala “madre”
La seconda puntata si intitola “padri e figli”. Chi sono gli uni e chi altri?
Ci siamo ricordati che il 23 ottobre è l’anniversario della morte del pilota motociclistico Marco Simoncelli e sono andato dal padre che ci ha parlato di lui. Il contraltare è la storia una baby prostituta, adesso maggiorenne, che dai quattordici ai diciassette anni ha vissuto un’esistenza di segregazione come baby squillo un una periferia romana. E’ il racconto di un’adolescenza negata ma anche di emancipazione.
Tra prima e seconda puntata due storie di prostitute. Una scelta voluta?
No, direi piuttosto occasionale. Nel cercare gli accostamenti e i bilanciamenti tra le storie mi sono reso conto che quella di Cheyenne, la baby squillo, si armonizzava bene nella puntata su Simoncelli perché sono due giovani accomunati da un destino tragico, pur diversamente. La prostituzione fa quasi da sfondo. E’ il racconto dell’esistenza umana.
Per la terza puntata sei tornato a Rosarno dove avevi girato la puntata “Arance rosse” nella prima edizione. Perché?
Volevo tornare in quei luoghi per capire cos’era cambiato. Ho ritrovato lo stesso personaggio che girava con il pullman e raccoglieva gli immigrati. Lui, un piccolo commerciante di mobili che decide di destinare un decimo del suo guadagno per gli immigrati. Compra dei pullman e due volte a settimana raccoglie gli immigrati nelle campagne di Rosarno (è lui stesso a guidare i bus) e li porta nella sua associazione dove li ristora, li riveste, e poi li riporta a casa. Una sorta di Caronte del sostegno. Un personaggio mai visto.
A Rosarno è cambiato qualcosa?
Nulla. Sono finito in un cascinale semi diroccato senza luce elettrica con gente che vive in una dimensione di abbandono. Non è cambiato niente. E ora arriveranno altre cinquecento persone e ci sarà di nuova la ressa generale. In questa puntata vogliamo pertanto rivelare anche l’immobilismo strisciante. Che non riguarda solo il tema degli immigrati: insieme al giornalista precario e sotto scorta Michele Albanese abbiamo raccontato dei tanti calabresi senza terra e privati dell’identità stessa. Ho narrato una storia molto forte di un imprenditore del vibonese, Barbagallo, a cui la ‘ndrangheta ha sottratto tutto e lui oggi, per sopravvivere, fa il badante…
Il protagonista dell’ultima puntata è un poeta dimenticato
Valentino Zeichen, uno dei più grandi del Novecento e che oggi vive a Roma in una sorta di baracca dietro il Ministero della Marina. E poi ho trovato un esempio positivo nell’era di un calcio molto malato: c’è una squadretta, “Grande Lebowsky” che gioca in prima categoria ed è stata letteralmente adottata da una frangia di tifosi della Fiorentina che, stanchi dei divieti del tifo e di questo calcio malato un giorno hanno deciso di tifare per l’ultima squadra, senza nemmeno conoscerla. Inevitabile lo stupore dei giocatori che, a fine match sono andati dai nuovi tifosi a chiedere perplessi: “perché state tifando per noi?”. E la risposta è stata: “vi abbiamo adottato”. E così i tifosi sono diventati loro stessi i proprietari di una squadra che non aveva neanche uno sponsor. Una bella storia
Intervista di Stefano Corradino pubblicata sul Radiocorriere Tv