di DANIELE NALBONE* – «L’informazione è come il pane, perché è nutrimento delle coscienze e delle intelligenze. E in un mondo in cui dominano le grandi concentrazioni, da quelle industriali a quelle editoriali, le “piccole voci” come Liberazione rappresentano un insopprimibile spazio vitale di libertà e di democrazia». Inizia così la nostra chiacchierata “per Liberazione” con Stefano Corradino, direttore di Articolo 21. In fondo, come affermava il romanziere-filosofo francese Albert Camus, «la stampa libera può, naturalmente, essere buona o cattiva, ma è certo che senza libertà non potrà essere altro che cattiva».
La prima domanda al direttore di Articolo21 non può che essere la seguente: com’è lo stato di salute dell’informazione in Italia?
È in prognosi riservata. Prende botte da anni anche quando ha le spalle forti e la schiena dritta. È in coma farmacologico, specie quella che non ha padrini né padroni. Nutrita quel tanto che basta per sopravvivere, ma tra poco le scorte finiranno.
Quali sono i “sintomi”?
Censure, tagli, bavagli, autocensure, genuflessioni al potente di turno. L’informazione nel nostro paese non se la passa affatto bene. A dirlo non siamo noi ma le organizzazioni internazionali non governative, a partire da Freedom House che, nel rapporto 2010 sulla libertà di stampa, relega l’Italia al 72esimo posto nella classifica. Siamo sotto Capo Verde, il Ghana, la Corea del Sud…
Vuol dire che il nostro Paese non è libero?
Voglio dire che, proprio per usare la definizione di Freedom House, è partly free, cioè parzialmente libero. E questa mancanza di libertà ha una causa ben precisa che si chiama conflitto di interessi. Una grave anomalia o, per restare in ambito clinico, potremmo definirla una vera e propria metastasi.
Come giudica la politica del governo che ha deciso di tagliare i fondi per l’editoria cooperativa e di partito, tra cui “Liberazione”?
È una politica grave che viene fatta passare come misura inevitabile per fronteggiare la crisi economica quando in realtà non produce risparmi, ma solo stati di crisi. Industriale ed occupazionale. E rischia di mettere in ginocchio un intero settore e il suo indotto.
“Liberazione”, “il manifesto”, “Carta”, solo per citare alcuni dei più importanti organi di stampa “di sinistra” tra quelli che rischiano di chiudere con i tagli del ministro Tremonti, potrebbero tra qualche mese sparire dalle edicole (purtroppo “Carta” ha già sospeso la diffusione nelle edicole) e, di conseguenza, dal dibattito politico italiano. Quali ripercussioni per il mondo dell’informazione e quali per i lettori?
La scomparsa di Liberazione e degli altri organi di stampa “di sinistra” è un presagio che va scongiurato, combattuto. I tagli del ministro Tremonti non sono affatto casuali dal momento che il suo capo, il presidente del Consiglio, ha recentemente affermato in pubblico che bisogna smettere di leggere i giornali, specie quelli di sinistra. È l’ennesimo editto. Una volta tocca all’informazione televisiva, un’altra alla carta stampata ma la logica è sempre la stessa: le voci scomode devono essere cancellate. Salvare Liberazione e gli altri giornali, difendere trasmissioni tv non omologate, non è solo salvare delle “voci libere” ma rispettare i principi della libertà d’informazione sanciti dalla nostra Carta Costituzionale e permettere che esistano anche programmi televisivi e radiofonici e organi di stampa al di fuori del campo gravitazionale delle grandi concentrazioni editoriali e dei grandi interessi.
Articolo 21 ha deciso di aprire le urne online ai cittadini sul voto di sfiducia al direttore generale della Rai, Masi. A prescindere dall’esito del voto, ci spiega il senso dell’iniziativa?
Quella di Articolo21 e Valigia Blu non è un’iniziativa ad personam ma una campagna di libertà. Crediamo in una Rai che sia realmente servizio pubblico, che non offenda l’intelligenza dei telespettatori scambiando le prescrizioni per assoluzioni. Che informi sui fatti, che premi gli autori e i conduttori di talento e non li “mobbizzi” e che non “dealfabetizzi” a colpi di plastici sui delitti da Cogne a Garlasco ad Avetrana.
Torniamo alla stampa. Oggi versa in uno stato di crisi che prescinde, però, dai tagli del governo (che saranno il colpo di grazia). L’emorragia di lettori in questi anni è stata inarrestabile. Quali, secondo lei, i motivi di questa crisi e quale la possibile via d’uscita per riportare questi giornali nelle tasche dei lettori?
Un sociologo americano dei media indica nel 2043 l’anno in cui uscirà l’ultima copia cartacea del New York Times. L’emorragia di lettori dei quotidiani è data anche dall’avvento di internet e delle nuove tecnologie. È un processo inarrestabile ma non necessariamente la pietra tombale della carta stampata. Il web e i vari supporti multimediali soddisfano i bisogni, reali o indotti, di informazione connettendoti in tempo reale per conoscere i fatti. Ma un bombardamento di informazioni non è necessariamente sinonimo di qualità. La funzione dei giornali dovrà essere pertanto di dare strumenti di comprensione e di approfondimento. Certo che se si procederà a tagli indiscriminati dei fondi all’editoria, ad eliminare le agevolazioni postali e a impedire ai giornali di poter esercitare il diritto di cronaca attraverso le leggi sulle intercettazioni la strada sarà breve, altro che 2043.
Per chiudere, veniamo al “principio” di questa intervista. “Liberazione” sta portando avanti una campagna straordinaria di sottoscrizione e sta chiedendo il sostegno di realtà e personalità della società civile, del giornalismo, della politica. Perché ha deciso di prendere la parola “per Liberazione”?
Per quattro ragioni: una giornalistica, una politica, e due… personali.
La prima: abbiamo promosso sul sito di Articolo21 la vostra asta di quadri d’arte per salvare Liberazione perché riteniamo inaccettabile che un quotidiano che sei giorni su sette produce informazioni, fa seria analisi politica e dà grande spazio a originali approfondimenti internazionali debba cessare di andare in edicola. La seconda: l’informazione è il cane da guardia del potere, politico ed economico. Non corteggia il potere di turno ma lo inchioda alle proprie responsabilità, lo incalza, lo sfida anche quando al governo sale chi è ideologicamente più affine. Liberazione non è mai stata tenera neanche con i governi di centro sinistra e ha maturato dibattiti difficili e laceranti sull’evoluzione del suo editore di riferimento. Altri giornali si guardano bene dal criticare il padrone… La terza: prima di intraprendere la carriera giornalistica sono stato militante politico e, poco più che diciottenne, segretario del Partito della Rifondazione Comunista ad Orvieto. È proprio attraverso questo giornale, allora settimanale, sotto le direzioni di Luciano Doddoli prima e Luciana Castellina poi, che ho cominciato a scrivere. Ha quindi per me un valore affettivo. La quarta ragione è “sentimentale”: Ylenia, la mia compagna, è una fedelissima lettrice del vostro (nostro) quotidiano, è il suo primo giornale e mi segnala ogni giorno, puntualmente, tutto ciò che Liberazione, tra mille difficoltà, segnala, alimenta e dibatte.
* Liberazione 12/11/2010
http://www.liberazione.it/rubrica-file/Stefano-Corradino—Informazione-italiana-in-coma–Liberazione–ti-vogliamo-bene—-LIBERAZIONE-IT.htm