Il libero esercizio del voto è condizionato da un conflitto di interessi che continua ad essere la principale anomalia democratica in Italia e in Europa. Lo abbiamo scritto a caratteri cubitali in questi anni (e quasi sempre isolati) e continuiamo a pensarlo anche all’indomani dell’esito del voto alle politiche, a conclusione di una campagna elettorale segnata da forti disparità di trattamento dei candidati e in cui neanche il silenzio elettorale della vigilia ha impedito ad alcuni (anzi ad uno solo) di violare le regole.
Il voto del 24 e 25 febbraio lascia il paese in una sostanziale ingovernabilità: con un centro sinistra maggioranza alla Camera e minoranza al Senato (per numero di seggi), il boom del Movimento Cinque Stelle, primo partito alla Camera e un Berlusconi purtroppo ancora saldamente in sella a dispetto di quanti (noi certamente no) lo davano per disarcionato.
Difficile ora profetizzare quale sarà lo scenario post-elettorale ma è improbabile che un governo nato da questo responso elettorale possa durare a lungo.
“Parlamento bloccato” sottotitolano oggi numerosi quotidiani. L’unico modo per “sbloccarlo”, prima di ritornare alle urne e non rendere evanescente il voto è approvare una norma rigorosa sul conflitto di interessi e cambiare la legge elettorale, cancellando questo metodo truffaldino che impedisce ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti.
Tertium non datur.