“Enzo Biagi amava raccontare i fatti con parole disadorne, ma che andavano dritto al cuore”. Così Romano Prodi, allora presidente del consiglio, ricordava l’amico giornalista nel corso di una serata in ricordo di Biagi organizzata da Articolo21 nel 2007 al teatro Quirino. “Aveva un modo di parlare semplice, quasi elementare, e non mi stupisco per niente che il ricordo sia così vivo”. “Era un simbolo di libertà, e ha anche pagato per questo” ha ricordato Prodi. Prodi ricorda l’editto bulgaro e la cacciata di Enzo Biagi dalla Rai per volere di Silvio Berlusconi (insieme a Santoro e Luttazzi) ma non concedeva facili speranze: “Facciamo una legge” dice. “Ma se c’è una proprietà troppo concentrata, un rapporto tra proprietà e strutture giornalistiche troppo forte, com’è nella nostra storia, la legge non è sufficiente per avere un paese libero nei media”. E qui il richiamo all’etica che ha guidato la vita di Biagi.
E’ indispensabile che l’Italia cominci a scalare quella indecorosa graduatoria internazionale che, in questa materia, la vede confinata agli ultimi posti in Europa. A renderla fanalino di coda è stata principalmente una politica che – in nome del conflitto di interessi, vera metastasi democratica mai risolta né seriamente affrontata – ha cercato di condizionare il libero esercizio della libertà di espressione e del diritto di cronaca, a colpi di bavagli e censure, manipolazioni e intimidazioni.
Potere e informazione. Uno storico dualismo che lascia costantemente aperti vari interrogativi: quale potere esercita la politica – ma anche l’economia, la finanza, la religione… – nei confronti dell’informazione? E ancora quale deve essere l’atteggiamento dell’informazione nei confronti del potere? E da ultimo: l’informazione è uno strumento di potere? “L’informazione è potere” sosteneva J.Edgar Hoover. Ossessionato dal potere dei media – l’ex direttore Fbi dal 1924 al 1972 – usava i giornali, i cinegiornali e il cinema, perfino i fumetti e le scatole di cereali, per condizionare il pubblico americano. Negli stessi anni, in Italia, la propaganda del fascismo esercitava un controllo politico su tutti i mezzi di comunicazione cancellando, reprimendo, censurando qualsiasi contenuto che potesse suscitare opposizione. A metà degli anni ‘60 il testimone passa alla P2. E’ la loggia massonica di Licio Gelli a congiurare contro la libertà di informazione: “L’obiettivo nei partiti, nella stampa e nel sindacato fu esplicitato nel ‘Piano di rinascita democratica’ – deve essere quello del controllo delle persone che in ogni formazione o in ogni giornale siano ritenute sintoniche con gli obiettivi del “Piano”.
Oggi il bavaglio alla libertà di informazione si esercita attraverso strumenti più sottili ma non meno minacciosi: con leggi (vedi “Gasparri”) che determinano il controllo diretto di governo e forze politiche sul servizio pubblico radiotelevisivo; con norme che limitando l’uso delle intercettazioni impedirebbero ai giornalisti informare liberamente e ai cittadini di essere liberamente informati; con codici lesivi del diritto di cronaca a cominciare dalle querele temerarie, vero strumento di intimidazione e di pressione per scoraggiare le inchieste e disincentivare lo spirito critico che dovrebbe ispirare l’attività del cronista; oscurando le notizie scomode, limitando le inchieste, cancellando la vita reale dei cittadini anestatizzandoli a colpi di gossip e delitti privati. Imbavagliare è la premessa di un bavaglio generalizzato che riguarda non solo l’informazione ma la giustizia, il lavoro, la scuola pubblica, i diritti civili… Respingere ogni forma di bavaglio e di controllo politico sull’informazione è un imperativo categorico per quella parte ancora sana della politica e per chi crede in un’informazione libera, autonoma, senza padrini né padroni, cane da guardia (e non da riporto) del potere.
(di Stefano Corradino – Pubblicato sulla rivista “Confronti”)