9 aprile 2015. Per Milano è una giornata di ordinaria follia. Nel blindatissimo Palazzo di Giustizia, un imputato per bancarotta, Claudio Giardello, eludendo i sistemi di sicurezza entra armato, spara e uccide quattro persone, tra i quali un giudice. La notizia fa rapidamente il giro del mondo e tutti si chiedono come sia potuto accadere. A domandarselo è anche Gherardo Colombo (nella foto) che è stato per trentatré anni magistrato a Milano, e che stimava il collega ucciso per la sua competenza e dedizione al lavoro. Il Radiocorriere Tv lo ha intervistato, anche nella veste attuale di consigliere di amministrazione della Rai per comprendere come le istituzioni, la scuola e l’informazione possono contribuire a far maturare nei cittadini i valori del rispetto delle regole, della legalità, della convivenza civile.
Il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone commentando a caldo i fatti di Milano ha detto “Dovrebbe essere impossibile entrare in un Tribunale e sparare”. Lei che giudizio dà della vicenda?
Anche io penso che dovrebbe essere impossibile entrare armati di pistola in un Palazzo di Giustizia come quello di Milano dove esiste un sistema di sicurezza e di protezione che sulla carta dovrebbe servire a impedire una simile intrusione. Adesso dobbiamo attendere i risultati delle indagini ma sta di fatto che se i cittadini italiani spendono una cifra non indifferente per tutelare il Palazzo di Giustizia e poi questi soldi non servono a evitare tragedie come questa qualche interrogativo sull’efficienza di questo sistema ce lo dobbiamo pur porre.
Lei conosceva personalmente il giudice Ciampi, che giudizio ne dava dal punto di vista professionale?
Una persona capace e preparata che dedicava moltissimo tempo alla sua professione, con un’attenzione e uno scrupolo che sarebbe bello fossero comuni a tutti coloro che lavorano nel settore pubblico, non solo nella giustizia. Ma è una cosa che purtroppo non sempre si verifica…
All’indomani della raccapricciante vicenda lei ha parlato di un clima di ostilità nei confronti della magistratura. E lo stesso presidente della Repubblica Mattarella ha espresso preoccupazione per l’azione di discredito nei confronti delle toghe. Senza cercare un rapporto di causa-effetto con la strage lei ritiene ci sia un atteggiamento negativo nei confronti della magistratura che rende il clima generale più teso?
A mio avviso esiste una svalutazione della “funzione giustizia” intesa nel suo complesso. Di questa funzione i magistrati solo soltanto una parte; ci sono gli avvocati, i cancellieri, gli amministrativi… tanti soggetti coinvolti nell’esercizio di quello che è un compito essenziale: il controllo, la verifica e l’osservanza delle regole, fattori indispensabili per tenere insieme una collettività. E quando una funzione istituzionale così essenziale viene svalutata o vissuta come un intralcio ne soffre l’intera comunità.
Questa svalutazione è recente o ha origini lontane nel tempo?
E’ iniziata da anni. Per quel che riguarda la mia esperienza se ne ebbero avvisaglie già alla scoperta delle carte della P2 nel 1981. Ovviamente nel tempo la considerazione della magistratura e della giustizia ha conosciuto alti e bassi. Un credito elevatissimo lo ebbe all’epoca del terrorismo quando, tra l’altro, numerosi magistrati (ma anche avvocati) furono uccisi. Poi il ridimensionamento, una linea discendente che fu interrotta in modo netto con l’inizio delle indagini sulle tangenti e sul sistema della corruzione (“Mani pulite”, ndr). La svalutazione poi è ripresa in modo accelerato man mano che le indagini evidenziavano come la corruzione non fosse soltanto negli strati alti delle istituzioni ma nella sua natura endemica, corrente, che coinvolgeva cittadini comuni praticamente tutti i giorni… Quella – solo per fare un esempio – del vigile urbano che beve il caffè gratis tutte le mattine nello stesso bar e chiude un occhio sulle macchine posteggiate in divieto di sosta…
La funzione di controllo dà fastidio?
Di sicuro non è ben vista da tutti e non può essere diversamente in un paese funestato da livelli di trasgressione così diffusi ed elevati, con una corruzione che ci costa sessanta miliardi l’anno, oltre centocinquanta quelli derivanti dall’evasione fiscale senza contare i costi della criminalità organizzata…
Come si educa al rispetto delle regole? Lei, dopo aver lasciato la magistratura si è dedicato a spiegare la Costituzione nelle scuole. Ha trovato un terreno fertile?
I ragazzi sono molto disponibili ad ascoltare purché ovviamente non li si tratti da spettatori ma da interpreti e protagonisti. E’ necessario coinvolgerli. Per questo io non mi siedo dietro una cattedra ma dialogo con loro.
Qual è il concetto più importante da trasmettere alle nuove generazioni?
Che le regole, considerate spesso fonte di obblighi e limitatrici della libertà rappresentano al contrario la fonte stessa della nostra libertà. Le regole tutelano le minoranze e i soggetti più deboli e consentono – o dovrebbero consentire se fossero realmente applicate – che tutti possano partire dalle stesse opportunità.
Lei è anche consigliere di amministrazione della Rai. Quale pensa debba essere la funzione dell’informazione e del servizio pubblico nell’educazione alla legalità?
E’ un compito che il servizio pubblico deve assolutamente assolvere. Spesso purtroppo a questi temi si dedica poco spazio o vengono confinati in orari e canali di nicchia. E’ necessario invece individuare spazi che possano raggiungere facilmente il complesso dei cittadini attraverso un linguaggio comprensibile e coinvolgente.
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Intervista di Stefano Corradino pubblicata sul Radiocorriere Tv