Grazie alla mobilitazione online di decine di migliaia di persone, il documentario Girlfriend in a coma,tratto dal libro dell’ex direttore dell’ Economist, Bill Emmott, e diretto da Annalisa Pirras, verrà proiettato in Italia prima delle elezioni. Infatti, dopo la decisione di Sky di mandare in onda il film il 15 febbraio, il settimanale l‘Espresso si è attivato per organizzare un’anteprima pubblica.
La prima del film, che analizza il declino della società italiana negli ultimi 20 anni attraverso interviste a personaggi tra i quali Roberto Saviano, Nanni Moretti, Umberto Eco, Sergio Marchionne, è infatti in programma per mercoledì 13 febbraio, al teatro Eliseo nel centro di Roma.
Le proteste degli ultimi giorni sono quindi riuscite ad aggirare quella che da molti veniva considerata una vera e propria censura. La decisone della direttrice del Maxxi, Giovanna Melandri, che non aveva ritenuto opportuno proiettare il documentario di Emmott prima delle elezioni, è stata travolta da una mobilitazione che dalla rete sta raggiungendo molte città italiane, dove si stanno organizzando proiezioni spontane di Girfriend in a coma.
Il trailer di Girlfriend in a coma
Aspettando di andare a vedere la prima all’Eliseo, vorrei condividere una riflessione su come la rete e la mobilitazione online abbiano avuto un ruolo significativo nel gioco delle parti che ha portato a questo importante risultato.
Tutto inizia il primo febbraio scorso da questo tweet di Bill Emmott: “INCREDIBLE! MAXXI Rome, on Culture Ministry orders, has revoked Girlfriend in a Coma’s Feb 13 Italy premiere booking. Censorship. Stupidity”. Tradotto in italiano, suona così: “Incredibile. Il Maxxi di Roma, su ordine del Ministro della Cultura, ha cancellato la prima di “Gitfriend in a coma”, in programma per il 13 febbraio. Censura e stupidità.
E’ lo stesso Bill Emmott a lanciare la mobilitazione online attraverso una nota inviata alle agenzie per invitare tutti gli italiani a usare i social network, Twitter, Facebook e ogni altra categoria per “alzare la propria voce”. E’ il tardo pomeriggio di venerdì primo febbraio, quando ricevo un email da Stefano Corradino, giornalista e direttore dell’associazione Articolo21, un sito internet che si batte da anni contro ogni forma di censura e bavaglio nei mezzi d’informazione. Mi chiede aiuto per lanciare una petizione su Change.org contro la decisione di non proiettare il documentario. Nel giro di poche ore la petizione è live sul sito e in meno di un giorno raccoglie oltre 10.000 firme(arrivate a 32.000 oggi).
Corradino aveva già lanciato due petizioni su Change.org. A fine novembre 2012 per chiedere a Mediaset di ritirare la denuncia contro il giornalista e blogger spagnolo Pablo Herreros, che si era battuto affinché Telecinco (società del gruppo Mediaset) non pagasse per avere in trasmissione la madre di uno degli imputati dell’assassinio di Marta Del Castillo, 17enne sivigliana uccisa da un ex fidanzato e un amico, e il cui corpo non è mai stato ritrovato.
Per questa battaglia, Pablo rischiava 3,7 milioni di euro di risarcimento e 3 anni di carcere. In quel caso, grazie alla mobilitazione online di centinaia di migliaia di persone in Spagna e alla petizione di Corradino in Italia, Mediaset aveva preferito ritirare la denuncia a carico di Pablo, onde evitare un danno d’immagine ben peggiore.
Più recentemente, Stefano Corradino aveva lanciato una petizione per chiedere all’Aiaart, l’associazione italiana telespettatori cattolici, di ritarare la denuncia contro Corrado Guzzanti per vilipendio alla religione per aver interpretato il celebre personaggio di Padre Pizzarro. Ritiro prontamente ottenuto in meno di due settimane con oltre 54.000 firme raccolte e una grande eco mediatica.
Il caso del film Girfriend in coma è ancora più emblematico. Lo slogan stesso del film – Act now and #wakeupitaly – non potrebbe essere più adatto. L’invito alla mobilitazione lanciato da Emmott, raccolto da chi, come Stefano Corradino, ha fatto della denuncia di ogni limitazione della libertà di espressione il suo impegno civile, si è trasformato in una mobilitazione vera e propria grazie ai nuovi strumenti di attivismo sociale messi a disposizione dall’evoluzione di un nuovo modo di concepire la rete.
La stessa regista Annalisa Pirras, in un’intervista pubblicata ieri da Wired, dichiara: “Avere 30mila firme su una petizione serve a dimostrare che non si può fermare un’opera d’arte, un film o un documentario, non si puo bloccare l’informazione.”