22 novembre: quattro operai muoiono sul posto di lavoro a Palermo e a Bologna e nel bresciano. A Monza due restano gravemente ustionati per la rottura di una conduttura idraulica che trasportava acqua a 90 gradi.
23 novembre: un operaio viene ricoverato con prognosi riservata al Policlinico di Bari, a seguito di una caduta da un ponteggio di circa 5 metri mentre lavorava alla ristrutturazione della facciata di uno stabile.
24 novembre: concluso il delicato intervento di reimpianto delle cinque dita di una mano di un operaio rimasto ferito a Novedrate, piccolo comune della provincia di Como.
Sono i più recenti infortuni sul lavoro del nostro Paese. Non un diario giornaliero di accidentali disgrazie ma un vero e proprio bollettino di guerra. Le statistiche parlano di un fenomeno in calo ma basta scavare nei dati per scoprire che la situazione è tutt’altro che migliorata. Perchè alla diminuzione degli infortuni corrisponde una contrazione di ore lavorate. Perchè aumentano i lavoratori abusivi, italiani ma soprattutto stranieri, che spesso, non denunciano nulla. Perchè sono frequenti i casi di datori di lavoro che si accordano con i dipendenti infortunati chiedendogli di non denunciare l’infortunio ma di mettersi in malattia, magari in cambio di qualche soldo in più fuori busta. Poi ci sono le malattie vere, quelle professionali: l’avvelenamento da radiazioni o le esposizioni all’amianto. Qui il dato è in controtendenza ed è il più negativo negli ultimi 15 anni.
In un Paese normale, gli infortuni mortali e la precarietà del lavoro che spesso e (mal)volentieri si trasforma in rabbia, rassegnazione, depressione, dovrebbe spingere l’informazione televisiva ad occuparsene con rigore e costanza, e non solo all’indomani di un decesso. Ma nel Paese anormale in cui viviamo perfino il decesso non fa notizia o la notizia viene derubricata nel giro di poche ore. Quante ore vengono al contrario dedicate alle vicende private dei vip o ai delitti privati da Cogne a Garlasco, da Perugia ad Avetrana? Non passa giorno che, dai tg ai talk show, del mattino e del pomeriggio, del prime time e della seconda serata non si scavi nei dettagli più microscopici dell’omicidio di Sarah Scazzi, che forse lì dove si trova adesso preferirebbe essere lasciata in pace piuttosto di vedere la sua vita vivisezionata dalle morbose pruderie di qualche psichiatria da salotto televisivo.
Un importante talk show di seconda serata di una importante tv privata ha aperto la sua ultima puntata domandandosi se di questo delitto se ne è parlato troppo. Forse staranno pensando di rivoluzionare la scelta dei temi. E di dedicare alla precarietà della vita quotidiana, che costringe studenti e lavoratori e studenti a salire sul tetto per avere un briciolo di attenzione, le stesse ore spese a radiografare le biografie di Sarah, Michele, Sabrina… O forse no.
(di Stefano Corradino – Blitz Quotidiano)