Ma un plastico sull’amianto no?

Per una volta dobbiamo ringraziare tutti e sette i principali telegiornali della sera per aver messo in evidenza il tema della sicurezza sul lavoro.
Probabilmente non potevano non farlo dal momento che la notizia riguardava una sentenza storica, quella su Casale Monferrato, una località nella quale la popolazione è stata praticamente decimata. Donne e uomini la cui unica “colpa” è stata quella di scegliere di vivere a poche centinaia di metri da un’azienda che per 80 anni (dal 1906 al 1986) ha trattato l’amianto. Poco meno di 2300 i morti, ad essi vanno aggiunti circa 700 persone colpite da asbestosi, malattia che non uccide ma riduce progressivamente la capacità respiratoria fino a rendere l’esistenza un calvario.

Un nemico praticamente invisibile ma che miete più vittime di un plotone d’esecuzione. Un’incubazione che può durare 40 o 50 anni dall’esposizione alle polveri sottili di amianto. A un certo punto si manifestano i sintomi: affanno, stanchezza, tosse, dolori al petto…

Ti diagnosticano un’asma, una bronchite o una polmonite. In realtà è un mesotelioma pleurico e sei praticamente spacciato. Anni di battaglie instancabili, quelle dei familiari delle vittime, per ottenere non risarcimenti in denaro ma verità e giustizia. Anni di umiliazioni, omertà, occultamenti di prove.

Sembra la trama di un film, la versione italiana di “Erin Brockovich” in cui uno stabilimento immetteva nelle acque di una cittadina una sostanza altamente cancerogena. Forse qualcuno dovrebbe farcelo un film… Nell’attesa speriamo che l’attenzione al tema della sicurezza sul lavoro non sia il frutto di una improvvisa e temporanea folgorazione. Che telegiornali e talk show, sempre in prima fila a suon di plastici e dettagli morbosi per raccontare questo o quel delitto privato, da domani illuminino a giorno queste stragi invisibili compiute e perpetrate in nome del profitto.

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