Polistrumentista, compositore, scrittore e produttore discografico. Mauro Pagani, una vita in musica dalla Pfm a Fabrizio De Andrè, è stato nominato direttore musicale del Festival. «Un’edizione – spiega Pagani – all’insegna della contemporaneità».
Maestro, Sanremo nel 2013 è il Festival della canzone o uno spettacolo televisivo che si occupa anche di canzoni?
Da bravo musicista il mio obiettivo è riportare il più possibile l’attenzione del Festival sulle canzoni e sui loro contenuti. Certo, è indubbio che sia ormai un enorme spettacolo televisivo, ma io spero sia basato principalmente e fondamentalmente sulle canzoni.
Qual è stato il criterio quest’anno nella scelta degli artisti? Silvestri, Elio, Gazzé, Cristicchi, Gualazzi… solo per citare alcuni dei “big”. C’è un fil rouge che lega la scelta degli artisti?
C’è stata una grande attenzione alla canzone d’autore contemporanea: la parola che più ci è stata a cuore è stata “contemporaneità”, cioè attenzione a ciò che sta succedendo e che si sta scrivendo adesso. L’alta percentuale di cantautori del nostro tempo è stata in qualche modo una conseguenza logica.
Su quali basi avete scelto i giovani? Gino Castaldo su Repubblica ha scritto: «La commissione ha palesemente spinto verso una direzione che corrispondesse alla musica reale che si suona nel Paese piuttosto che alle virtuali astrattezze dei talent». E’ così?
Sì, anche se voglio dire che contro i talent dobbiamo essere attenti a puntare troppo il dito. Io non sono un fan, però proviamo a ricordarci che sono molti i ragazzi che si guardano in giro nel mondo della musica e spesso queste sono le uniche possibilità che hanno per provare a farsi notare. Quindi non bisogna colpevolizzarli perché hanno partecipato. Ma dovremmo tutti cercare di contrastare il fatto che si tende a trasformare le rassegne musicali in competizioni tra interpreti. Il Festival è un’altra cosa: è il Festival della canzone, non dei cantanti”.
Quindi avete scelto i giovani sulla base di questo?
Esatto. Scelti non perché fenomeni semplicemente legati all’interpretazione canora. Era fondamentale quello che cantavano.
Sono in tanti a porre l’accento sul tema delle vendite dei dischi dopo il Festival. E’ un problema legato solo alla crisi discografica o riguarda anche direttamente Sanremo?
Riguarda in qualche modo anche Sanremo: per troppi anni è stato un po’ isolato in una specie di torre d’avorio. Troppo spesso comparivano a Sanremo pezzi che facevano riferimento a un genere cosiddetto “sanremese”: pareva fossero stati tolti dal frigo venti giorni prima dell’inizio del Festival e rimessi in frigo venti giorni dopo. Questa è una cosa da cui sarebbe meglio cercare di difendersi.
Si dovrebbe proporre più musica in tv?
Sì. E senza parlare solo di abilità, di performance, di gorgheggi, ma di contenuti. Bisognerebbe trovare il modo di parlare di testi, di composizione. Dovremmo provare a ricordare ai ragazzi che l’importante nella vita non è cercare di avere successo, di “svoltare”. La cosa bella è imparare a fare musica o qualunque altra cosa per se stessi, indipendentemente dalla ricerca del successo. (intervista a cura di Stefano Corradino)
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