“Abbiamo sventato un emendamento che avrebbe cancellato i processi per bancarotta: da Parmalat, Antonveneta, Cirio ecc. Abbiamo trovato i quadri che Tanzi aveva nascosto, abbiamo smascherato qualche marchio del lusso che si fregia di un made in Italy improprio”. Così Milena Gabanelli, intervistata dal Radiocorriere tv riassume per titoli alcuni fatti salienti portati alla luce dalle inchieste di Report, la storica trasmissione di Rai3 che quest’anno diventa “maggiorenne”. E’ dal 1997 infatti che Report sforna inchieste esclusive rendendo comprensibile al pubblico trame e intrighi complessi. Report torna su Rai3 in prima serata dal 12 aprile.
Quali sono i temi principali della nuova edizione?
Affronteremo molti degli argomenti che rendono il nostro paese “particolare”. Di nuovo ci sarà una rubrica fissa dedicata al cibo.
“E’ andata come doveva andare”. Così concludevi il tuo video editoriale del maggio scorso sull’Expo 2015. Continuerete ad occuparvi di questo tema?
Restiamo in tema, ma in questa edizione ci occuperemo del “sistema” legato alle grandi opere e dell’Anas gestione Ciucci.
Qual è il tuo giudizio sull’operato del commissario anti-corruzione Cantone?
Anche lui fa quello che può, la nostra purtroppo è una malattia endemica. Mi auguro che non finisca a fare il Ministro alle Infrastrutture, ma continui a fare il suo mestiere: il magistrato.
Dopo due anni di attesa, ostruzionismo e polemiche, il ddl anticorruzione arriva in discussione a Palazzo Madama. Possiamo essere ottimisti?
Anche se dovesse uscirne un piccolo passo, sarà comunque in avanti; poi bisognerà farne degli altri dentro la macchina giudiziaria, per sveltire i processi.
Si ricomincia a chiedere una stretta sulle intercettazioni. Una legge che ne limiti l’uso rischierebbe di penalizzare le inchieste?
Dipende… le intercettazioni sono sicuramente un tema, soprattutto il loro uso.
Nell’ultima intervista che ci hai rilasciato – ad ottobre scorso – denunciavi l’assenza di una politica seria contro l’evasione fiscale. E’ cambiato qualcosa?
Anche qui si parla molto ma poi si fanno scelte “piccole”, però almeno non si torna indietro: per esempio non sarà più così scontata l’impunità per chi falsifica i bilanci.
“Qualcosa per certo abbiamo smosso”. E’ uno dei tuoi passaggi nel nuovo spot di Report. Giusto per ricordare ai telespettatori alcune vostre battaglie storiche di quali “smottamenti” andate più fieri?
Abbiamo sventato un emendamento che avrebbe cancellato i processi per bancarotta: da Parmalat, Antonveneta, Cirio ecc. Abbiamo trovato i quadri che Tanzi aveva nascosto, abbiamo smascherato qualche marchio del lusso che si fregia di un made in Italy improprio… Insomma credo che in diciotto anni abbiamo fornito qualche elemento ai cittadini per orientarsi nelle loro scelte.
Nelle graduatorie internazionali sulla libertà di stampa l’Italia ha perso ulteriori posizioni in classifica. Quanto peso hanno secondo te le cosiddette “querele temerarie” e quali sono a tuo avviso le altre motivazioni che portano il nostro Paese ad essere fanalino di coda in Europa?
Non credo affatto che in tema di libertà di stampa il nostro paese sia un fanalino di coda – a me non è mai stato censurato alcunché -, se uno ha voglia di rischiare nessuno glielo impedisce. Il nostro problema è che la classe dirigente non ha la cultura del confronto critico e la pessima abitudine di querelare a prescindere, chiedendo risarcimenti milionari anche senza motivo, e questo per un giornalista freelance o un piccolo editore è inaffrontabile. Basterebbe ispirarsi al diritto anglosassone e punire severamente chi trascina un giornalista in tribunale per niente.
La vicenda di Charlie Hebdo, ha risollevato la questione della libertà di stampa e di satira. E’ ammissibile che tale libertà possa essere delimitata per legge?
Quando si entra nel regno della follia non servono leggi, ma solo buon senso.
La crisi dei giornali cartacei è sempre più incalzante. E’ una condizione ineluttabile? Quali benefici e quali rischi ci saranno con una informazione che passerà prevalentemente per i nuovi media?
Non saprei indicare con quali tempi, ma credo proprio che i giornali di carta siano destinati a traslocare definitivamente sul web. Internet è un mezzo straordinariamente democratico, dove le verità vengono a galla, insieme a tante bufale, proprio perché chiunque può scrivere quello che sa, o che crede di sapere; ma questo significa che per un lettore non “preparato” è difficile distinguere il vero dal falso. Quindi se si vorrà avere un’informazione credibile e autorevole andrà cercata sulle testate tradizionali, ma bisognerà pagare un abbonamento, esattamente come oggi si paga quando si compra un giornale di carta. In altre parole: finirà l’era del tutto gratis, poiché a chi fa il giornalista di professione, e che verifica le informazioni che pubblica, lo stipendio qualcuno glielo deve pagare.
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Intervista di Stefano Corradino pubblicata sul Radiocorriere Tv