da Tv Radiocorriere
“Si reca sul posto, testimonia di cose concrete, mostra le cose direttamente e se ne assume la responsabilità”. Così il critico televisivo Aldo Grasso definiva “Report” all’indomani della sua comparsa sul piccolo schermo. 15 anni dopo il programma di inchiesta di Milena Gabanelli ha proseguito sulla propria rotta senza deviazioni, fedele a un’idea del giornalismo come cane da guardia del potere, in uno stile spesso più anglosassone che italiano. Cedimenti? Nessuno. Voglia di abbandonare dopo aver subito pressioni? “Neanche un po’ – ci risponde la Gabanelli. “Le pressioni sono contemplate nel genere di lavoro che uno sceglie…”
Sono trascorsi 15 anni dalla prima edizione di Report. Un bilancio
Se fosse un’azienda sarebbe un modello da seguire: ottimizzazione delle risorse, concentrazione sul prodotto, formazione di nuove leve.
La vostra è stata la prima esperienza di “video giornalismo”, si può dire che in molti hanno tratto ispirazione dalla vostra forma di produzione?
Direi che oggi è abbastanza diffuso, l’evoluzione tecnologica si è imposta anche ai più refrattari.
Quando si parla di giornalismo televisivo d’inchiesta il primo riferimento è sempre a “Report” per il lavoro serio e documentato che svolgete. Sostegno costante di critica e pubblico. Mantenere questa reputazione è una bella responsabilità…
In effetti…non so se è solo l’età, ma ho perso definitivamente il sonno.
C’è un’inchiesta che negli anni ti ha dato maggiori soddisfazioni?
Ce ne sono diverse: l’inchiesta sull’esportazione di carne verso i paesi bisognosi, quelli sui prodotti derivati…fu molto coraggiosa, era il 2007 e ancora nessuno sapeva cosa fossero, poi Banca Arner, ma anche il san Raffaele… Le soddisfazioni in realtà le ho avute da ogni pezzo, anche quello che magari ha dato meno risultati perché l’argomento era molto difficile e antitelevisivo. E’ facile cavalcare l’onda… Accendere fari è più complesso e rischioso.
E quella che ti ha dato più “grattacapi”?
Tutte quelle che hanno coinvolto l’ex ministro Tremonti, perché ogni volta si è sentito danneggiato e anziché rivolgersi ad un qualunque tribunale, ha sempre preferito fare esposti all’Agcom. L’Agcom valuta anche il pluralismo, e se ritiene che sia stato violato ti può dare multe salatissime. Il punto è: “come valuti il pluralismo nel giornalismo d’inchiesta?” Se racconto la storia di un ladro, devo anche intervistare un parente che racconti quanto è stata difficile la sua vita da bambino? E’ un paradosso, ma ci è capitato qualcosa di simile.
C’è mai stato un momento in questi anni in cui hai pensato di abbandonare (penso ad eventuali pressioni che hai ricevuto, le denunce, gli attacchi anche dal mondo politico…)?
No. Vorrei che fosse il politico di turno a sentirsi sotto pressione… Quello che voglio dire è che le pressioni sono contemplate nel genere di lavoro che uno sceglie.
E misurarti con un nuovo progetto televisivo? Ti ha mai sfiorato l’idea?
E’ tanto tempo che immagino un programma musicale.
Ci sono programmi di inchiesta in Rai (e non solo) che segui con interesse?
Tutti.
“Spending review” anche per la Rai. Quanti siete e quanto costate?
Dodici autori che realizzano i pezzi, come liberi professionisti. Una redazione romana con 5 assistenti che fanno un lavoro di supporto. Un regista in comune con Rainet. Il costo di ogni puntata esattamente non lo so perché non conosco i costi dello studio dove registro la mia parte e nemmeno quelli dell’edizione finale, perché sono lavorazioni interne all’azienda, però penso che saremo attorno ai 120.000 euro per 100 minuti.
Ci sono magistrati che hanno aperto inchieste a seguito di notizie da voi divulgate? Se sì per quali argomenti?
Parmalat, vendita Wind, Croce Rossa, Derivati, e poi tante altre (sulle quali c’erano già indagini in corso) acquisite successivamente dai magistrati.
Avete cause civili e penali aperte? Quante? E chi sono i denunciatari? Società o singoli? Uomini politici?
In questo momento aperte saranno una quarantina, principalmente cause civili, perlopiù intimidatorie, provenienti da banchieri, società, imprenditori.
Immagino che il reato contestato sia quello della diffamazione a mezzo stampa. Cosa ne pensi del dibattito riaperto dopo il caso Sallusti su carcere e/o sanzioni ai cronisti?
Credo che la diffamazione sia un reato gravissimo, tuttavia in questo mestiere può capitare e occorre porre rimedio rettificando nello stesso spazio. Tanto più è grave l’errore, maggiore è lo spazio da dedicare alla riparazione dell’offesa. Se diffami con dolo, sei un soggetto pericoloso ed è giusto che vengano applicate le sanzioni di legge.
E come si tutelano la libertà del cronista di fare informazione e i diritti dei cittadini coinvolti nelle vicende di cronaca?
Devono esserci riscontri oggettivi in quel che si racconta, deve essere data la possibilità al diretto interessato di replicare, bisogna usare i condizionali… Il bravo cronista sa quali sono gli accorgimenti da adottare, e sa distinguere le evidenze dalle suggestioni.
Avete dedicato la prima puntata ad un tema di grande attualità come la corruzione della pubblica amministrazione. Perché questa scelta? E’ a tuo avviso la piaga principale di questo Paese e quella che più di altre frena la crescita?
Avere in parlamento un centinaio di onorevoli con problemi giudiziari è un freno a mano. Qualunque altro provvedimento è subordinato a questo. Nel palazzo del potere devono sparire le ombre. In questo momento abbiamo pure le certezze: almeno una ventina hanno condanne in via definitiva per reati contro la pubblica amministrazione. Possiamo continuare a dare le chiavi di casa al ladro? Io dico di no.
In che misura i telespettatori hanno parte attiva nelle vostre inchieste? Quante sono le segnalazioni che ricevete mediamente e quante mediamente sono attendibili?
Durante la messa in onda le quantità sono veramente rilevanti. Noi andiamo a verificare gli argomenti che ci interessano e spesso le cose non stanno come ce le scrivono. In sintesi, su una scrematura di 50 segnalazioni, 5 alla fine sono buone, il resto non tanto.
Oltre mezzo milione di contatti su facebook e migliaia di visite giornaliere sul sito di Report. In che modo internet si integra al mezzo televisivivo?
Si integra così…che ognuno va a vedere o rivedersi la puntata o parte di essa quando e come vuole. Questa è la grandiosità di internet…
Nel 2009 hai ricevuto ad Orvieto il Premio Barzini all’inviato speciale. Hai incentrato la tua orazione civile sullo stato dell’informazione oggi e sulla ricerca della verità a costo di “rompere le scatole”: qual è lo stato di salute della libertà di informazione oggi in Italia?
Direttamente proporzionale alla salute dei giornalisti. Si parla spesso di censura, ma io direi “autocensura” . L’Italia non è la Cina, puoi dire e scrivere ciò che vuoi. La questione è che i giornalisti frequentano spesso e volentieri e troppo da vicino gli ambienti che dovrebbero essere oggetto della loro attenzione. E’ evidente che alla fine anziché abbaiare scodinzoli.
E a chi “romperai le scatole” nelle prossime puntate?
Alla classe dirigente.
Oltre a Report fai lezione nelle scuole di giornalismo, incontri gli studenti, parli nei licei… A un giovane che vuole diventare giornalista quale consiglio ti senti di dare?
“Lavora sulle idee”. In questo, come in tutti i mestieri la concorrenza è enorme, il lavoro diminuisce, ma mancano le idee.
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