Nell’aprile 2013 lanciai una raccolta di firme a sostegno della trasmissione Report dopo la querela ricevuta dall’Eni, con una richiesta di risarcimento di 25 milioni di euro. In pochi giorni aderirono oltre 130mila cittadini preoccupati per la sorte della più importante trasmissione d’inchiesta televisiva. 25 milioni di euro per un programma tv avevano il chiaro sapore di un’intimidazione per scoraggiare le inchieste e disincentivare lo spirito critico che dovrebbe ispirare l’attività di un cronista. Il termine tecnico è ‘querele temerarie’, un’azione di sbarramento compiuta nei confronti di un giornalista per dissuaderlo dal proseguire il suo filone di inchiesta. E ovviamente per disincentivare i colleghi dall’occuparsi dello stesso tema. Questo discorso riguarda le grandi trasmissioni d’inchiesta, ma anche le piccole testate e quei cronisti che lavorano in zone ad alta densità criminale. Quei giornalisti, free lance, che guadagnano pochi euro a pezzo e che, per non incappare nella scure della querela temeraria, finirebbero per occuparsi delle sagre di paese piuttosto che degli intrecci fra politica economia e criminalità.
Nella petizione si chiedeva che il Parlamento mettesse mano a una revisione della materia prevedendo una sostanziosa penalità nei confronti di chi utilizza strumentalmente questo tipo di richieste, condannando il querelante, in caso di sconfitta in sede giudiziaria, al pagamento del medesimo importo.
Sul tema delle querele temerarie la nuova legge sulla diffamazione che si sta discutendo in Senato è assai vaga e condanna il querelante che ha perso la causa al risarcimento di pochi spiccioli. Questo è uno dei tanti limiti di una normativa sbagliata che se fosse approvata lederebbe pesantemente la tutela dei diritti fondamentali di cronaca e di critica.
Si era partiti bene, eliminando l’assurda pena del carcere per i giornalisti in caso di diffamazione. Ma la contropartita, e cioè le sanzioni pecuniarie fino a 50mila euro – devastanti per l’informazione indipendente, in particolare per le piccole testate online – rischia di essere peggiore del carcere perché costringerebbe tante testate minori a chiudere.
A distanza di due anni Articolo21 e altre associazioni hanno lanciato un nuovo appello #nodiffamazione e una nuova petizione su Change.org richiamando i legislatori su una normativa che così fatta suona come un’inaccettabile «mettetevi in riga», per quei giornalisti coraggiosi, blogger e freelance che difendono il diritto dei cittadini ad essere informati.
La mancanza di norme che sanzionino richieste e azioni giudiziarie temerarie o infondate non farebbe che aggravare un quadro di potenziale pressione sull’informazione che la sola eliminazione del carcere come sanzione non è assolutamente sufficiente a scongiurare. Ci auguriamo pertanto che la legge, prima di essere definitivamente approvata, possa subire sostanziali modifiche volte a garantire il diritto costituzionale d’informare e di essere informati.