A tutt’oggi, a meno di sorprendenti colpi di coda, il sindaco di Orvieto sarà della Margherita. Dopo sessant’anni, lo scranno su cui si adagiarono prima fondoschiena marxisti-leninisti e poi riformisti e poi post-moderni, accoglierà a braccioli aperti un nuovo e inedito inquilino. Probabilmente non totalmente estraneo alla mobilia del Palazzo…
Il verdetto che impone il cambiamento al vertice comunale si dice opera perugina e inscritta all’interno di quell’armoniosa pintura che ha preso il nome di riequilibrio. Addirittura, quasi a confermare l’ineluttabilità del fatto, si mormora che la “cessione” della sovranità orvietana sia stata oggetto di dibattito tra Fassino e Rutelli (altre versioni parlano di Fassino e Marini).
Che Orvieto sia stata nei pensieri di così indaffarate menti non può che lusingare qualche aficionados locale. Tuttavia, lusinga meno i DS orvietani, che hanno accolto la buona novella senza grandi entusiasmi; anzi, con una profonda irritazione: “uno scippo dell’autonomia decisionale del territorio”, grida la base del partito. “Un dibattito privo di via d’uscita, uno scandaloso neo-centralismo regionale” rincalza buona parte del gruppo dirigente locale.
Qualcuno a questo punto ipotizza di “dare fuoco ai pagliai” prefigurando liste civiche o gite al mare organizzate proprio nei giorni fatali.
Insomma, tra molti iscritti e simpatizzanti prevale lo smarrimento, la scomparsa di un punto stabile attraverso cui far passare torti e ragioni. Non si riesce a comprendere quello che viene vissuto come un tradimento, una pugnalata alle spalle, un’imperdonabile perfidia ordita per punire l’unica isola umbra con una maggioranza politica affidata al Correntone, uno degli ultimi territori con un solido gruppo dirigente ed una buona capacità progettuale.
E poi ci sono i realisti, quelli storici e quelli dell’ultima ora, che sostengono l’ammissibilità politica di un tale passaggio di consegne in relazione alle nuove logiche di coalizione. E qualcuno ricorda il “buon cuore” degli ex-democristiani nel votare candidati quali Giordano (PRC) o Belillo (PdCI) le cui posizioni politiche erano oggettivamente distanti da quelle dei centristi. La conclusione del ragionamento è che votare un candidato sindaco della Margherita si inscriverebbe dentro un progetto politico (il Triciclo) condiviso e sottoscritto da leader ed elettori. Un eccesso di machiavellismo difficile da digerire.
I Ds dell’Umbria. Il partito, a livello regionale non ha un progetto politico e ha perso qualsiasi capacità di dare respiro ad un progetto di alleanze che vada ben oltre le esigenze personali di visibilità. Nel corso degli ultimi anni quello che un tempo fu un partito dalla solida ramificazione ed insediamento territoriale, è ormai privo della funzione di mediatore-aggregatore e si è ridotto notevolmente. In termini di consensi elettorali e, cosa ben più grave, di partecipazione e condivisione delle scelte.
Ad esso si aggiunge la responsabilità di una partecipazione dal basso completamente scemata, dove l’adesione politica sembra essere importante solo se in relazione alla presenza alle feste dell’Unità, mentre la grande partecipazione alle iniziative politiche ed ai dibattiti delle feste, sono il segno inequivocabile di una voglia di dibattere, di capire, di “contare”.
La trasformazione (negativa) del sistema elettorale ha reso obsoleta la priorità del “programma” lasciando campo libero all’appeal e alla credibilità del candidato. E l’elezione diretta del primo cittadino ha re-introdotto, in piccolo, il tema weberiano del “capo carismatico”: del partito non c’è più bisogno giacché la mediazione viene soppressa dall’interlocuzione diretta tra Sindaco e Cittadini e forze sociali ed economiche. Un processo, ricordiamolo, non inventato da alcun attore locale ma scritto nella legge elettorale e che pertanto “impone” anche l’identificazione di candidature dalla spiccata personalità.
Orvieto è l’ultima roccaforte Ds che cade? Il gruppo dirigente locale vuole resistere alla deriva, e in aperto conflitto con la dirigenza regionale del partito e della regione, rivendica le proprie indicazioni, peraltro unitariamente sottoscritte. Se la scelta verterà su candidature diverse sarà una sconfitta per l’intera classe dirigente umbra. A nulla servono garanzie di incarichi provinciali, regionali, parlamentari… come “merce di scambio”, quando una scelta calata dall’alto rischia seriamente di determinare la perdita delle elezioni da parte della coalizione di centrosinistra. Ma, anche gli eventuali “scambi”, risulterebbero all’elettorato come la soluzione ai problemi dei “pochi” e non certo il frutto di una coerente battaglia per l’autonomia della città.
Fuori da questo quadro desolante di alleanze e schermaglie politiche e di corrente c’è una città sospesa tra tradizione e modernità che deve decidere se proseguire coerentemente nella sua filosofia di sviluppo. La gigantesca questione della riconversione della caserma è stata appaltata all’esterno (Risorse per Orvieto SpA) e alcune ipotesi sembrano in procinto di concretizzarsi; a breve anche l’università dovrebbe acquistare un suo profilo, le opere pubbliche più strategiche sono in fase di pre-attuazione.
Orvieto città Slow e del Jazz, città della Pace e della Solidarietà, dove la cultura è risorsa di sviluppo economico. Questa è la road-map che si intende seguire o ci sono altre volontà?
Perché il rischio vero è quella della perdita dell’immaginazione di una città che, in passato, seppe pensare e progettare in grande. Ciò potrebbe accadere perché gli spazi di azione sono ormai compressi; il sistema potrebbe così irrigidirsi, perdendo in efficienza e appeal. A nostro giudizio, l’innovazione del sistema Orvieto non potrà più generarsi dall’interno. Il barile è stato raschiato per intero e difficilmente la spinta autonomista, che ha alimentato non poco i progetti amministrativi, sarà in grado di sostenere un ulteriore salto qualitativo. Se sarà così nessuno potrà dirsi esente da precise responsabilità. Non la dirigenza regionale per le ragioni già espresse, ma neanche quella locale, che oggi si prepara all’elaborazione del lutto e che non ha saputo né prevedere ed affrontare in tempo la situazione, né si è posta il problema di un ricambio vero della classe dirigente.
(Stefano Corradino, Giorgio Santelli, Vittorio Tarparelli – Micropolis)