Paolo Borsellino vive. Contro l’indifferenza dei complici

Sono passati 20 anni e sembra ieri. Non ci eravamo ancora ripresi dalla strage di Capaci che dopo poche settimane, l’Italia tornava a sanguinare. Stessa dinamica. La bomba è innescata. Un comando a distanza, un timer. L’esplosione. La morte del giudice Borsellino dopo quella di Falcone. I funerali. Le lacrime sincere di chi combatteva al suo fianco. E il finto cordoglio di chi ha ostacolato il suo lavoro, le inchieste, la sete di giustizia.

In quante chiese e per quante esequie si saranno seduti, se non gli esecutori materiali, i mandanti, i conniventi, quelli che sapevano e hanno taciuto, quelli che non sapevano ma potevano indagare ma non avevano alcuna intenzione di farlo. Per convenienza, interesse. O per paura, rassegnazione, indifferenza.

Gli indifferenti sono complici. Non premono grilletti e non schiacciano pulsanti di telecomandi che attivano ordigni. Ma il male che si abbatte su tutti, scriveva Antonio Gramsci “avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare… Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita”.

Ma la memoria di Borsellino vive. Vive negli amministratori che non si fanno corrompere, nei commercianti che rifiutano di pagare il pizzo, nei sacerdoti che la lotta alla mafia non solo la predicano ma la praticano, vive nelle manifestazioni degli studenti che brandiscono cartelli con le gigantografie dei loro eroi civili. Vive nei libri e negli articoli di scrittori e cronisti, quelli che hanno ancora pensano che un giornalista debba essere, a cospetto del potere, un cane da guardia e non da riporto…

Domani 19 luglio Articolo21 è in festa, anche se c’è in questo momento c’è ben poco da festeggiare. Abbiamo scelto questa data proprio per ricordare Borsellino e quanti come lui (da Placido RizzottoGiancarlo Siani…) non hanno piegato la schiena di fronte ai soprusi della criminalità, perversamente integrata con pezzi dello Stato, fino ad essere talvolta una cosa sola. Cosa loro, non nostra. Con la mafia non si tratta. Semmai la si maltratta. Duramente, implacabilmente.

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