Ieri Mora è stato arrestato con l’accusa di bancarotta fraudolenta. L’elenco dei suoi problemi giudiziari è cospicuo. Condannato per detenzione di sostanze stupefacenti non proprio modiche (1990) e due volte per evasione fiscale (2000 e 2008). Indagato nel gennaio 2011 dalla Procura della Repubblica per favoreggiamento alla prostituzione, insieme a Silvio Berlusconi e Nicole Minetti sul “caso Ruby“, la nipote (marocchina) del presidente (egiziano) che proprio lui sembrerebbe aver presentato al presidente del Consiglio (italiano). Un vero talent-scout internazionale!
Per la giustizia il talentuoso manager dello spettacolo è di fatto innocente fino al compimento del terzo grado di giudizio, sempre che qualche reato nel frattempo non venga prescritto o magari cancellato per effetto di qualche tempestiva legge “ad Moram”.
Più difficile invece cancellare il personaggio, le sue relazioni, le sue “stravaganze”. Intervistato per il film “Videocracy” nella sua “white house”, all’interno di una stanza completamente bianca, e lui tutto di bianco vestito (un simbolo di purezza e integrità) loda le gesta del presidente Berlusconi, secondo solo all’impareggiabile Benito Mussolini della cui grandezza conserva gli inni (croci celtiche e svastiche) sul suo telefonino che non si vergogna ad esibire.
Il candido Lele fa quasi tenerezza. Perché altro non è che l’archetipo perfetto del berlusconismo, uno dei tanti prodotti di un modello culturale e sociale degradante e avvilente.
Lele e gli altri Berluscloni vinceranno o perderanno nel primo grado, in appello e in Cassazione? Poco importa. La speranza è solo quella che il vento del cambiamento che sta spirando dal nord al sud del paese spazzi ben presto via dall’Italia il fetore della volgarità, della miseria culturale, della gigioneria da avanspettacolo. I comportamenti massonici, gli oltraggi alle istituzioni, il disprezzo delle leggi. Il concetto che tutto è in vendita. Un voto, una partita di calcio, un corpo, un sogno nel cassetto.
Non ci servono nè nuove intercettazioni nè altre carte processuali ma solo un sussulto collettivo di dignità.