“Scrivo per un quotidiano locale del sud. Più o meno tre articoli al giorno. Sette giorni su sette, senza un giorno di riposo. Tre pezzi per trenta giorni fanno novanta. Il compenso? Più o meno 2 euro a pezzo. Il conto è presto fatto: sono 180 euro al mese. Non per “brevi” di poche righe o “copia-incolla” dal web. Un lavoro che è il frutto di ricerche, approfondimenti, interviste. Al telefono o per strada, su vari argomenti. Spesso su temi “caldi”. E quando in un piccola realtà ti vai ad occupare magari di criminalità e dei suoi intrecci perversi con politica ed economia, prima di mandare in stampa venti righe, con i nomi e i cognomi di qualche potente locale non proprio penalmente “illibato”, ci pensi dieci volte”.
E’ una delle tante lettere che quotidianamente la redazione di Articolo21 riceve da giornalisti precari, in particolare al sud, che non arrivano a guadagnare 200 euro al mese (peraltro con tempi di pagamento che hanno punte di 8-12 mesi) e che magari, paradosso dei paradossi, si ritrovano a scrivere di precarietà del lavoro. Quella degli altri, non certo della propria, perché rischierebbero il “licenziamento”, o meglio la fine della collaborazione visto che il licenziamento presupporrebbe un contratto. Che non c’è.
Né garanzie né tutele. E non parliamo di uno sparuto gruppo di cronisti ma di oltre la metà dei professionisti dell’informazione in Italia. Sono i dati emersi ieri mattina in una conferenza stampa per sollecitare la conclusione dell’iter sul cosiddetto “equo compenso“, cioè una legge che metta la parola fine allo sfruttamento e al ricatto subiti da tanti giovani (e non solo) cronisti, fotoreporter, giornalisti sul web… “Uno strumento – come ha spiegato il segretario dell’Associazione stampa romana, Paolo Butturini – per difendere i colleghi e per dare loro la possibilità di essere autonomi e rispondere solo ai cittadini”.
In molti hanno firmato l’appello per l’equo compenso, non solo giornalisti ma anche personaggi dello spettacolo. Come Alessandro Gassman che ha invitato i promotori ad usare anche il suo nome a sostegno di questa causa. “Del resto – ha detto l’attore – anche nel mondo dello spettacolo vigono leggi antiquate e sorpassate che zavorrano il lavoro di tutti”.
Già, perché la precarietà riguarda il mondo del lavoro tutto. Quei compensi sempre meno equi, quelle diseguaglianze sempre più lampanti. E quella pari dignità sociale sancita dalla Costituzione che sembra ogni giorno più lontana.