Giornali e televisioni accendono timidamente i riflettori solo quando il numero dei morti supera le tre-quattro unità. Ma un “omicidio bianco” isolato non fa mai notizia (a differenza dei noti delitti privati stile Cogne o Garlasco a cui vengono dedicate ore ed ore di trasmissioni) e conquista appena il trafiletto di un quotidiano locale: “Muore cadendo da un’impalcatura”, “Risucchiato da un macchinario da fieno”, “Stritolato tra le lame d’acciaio di un’imballatrice”.
L’informazione è ancor più latitante e colpevole quando si tratta di morti per cause “invisibili” non ricondubili a impalcature o macchinari. L’amianto, ad esempio, un materiale molto comune in natura e utilizzato per edifici, tetti, navi, treni; come materiale per l’edilizia (tegole, pavimenti, tubazioni, vernici…). Respirarne le polveri può provocare il mesotelioma pleurico e dei bronchi, il carcinoma polmonare e condurre ad una morte lenta, per soffocamento.
Lo sanno bene gli abitanti di Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, una città di poco più di 30 mila abitanti, di cui 1.200 sono morti (e altri si teme ne moriranno) per aver inalato le particelle di questo maledetto minerale che si conficca come un ago nelle vie respiratorie. E bene hanno fatto i familiari delle vittime a manifestare contro quel processo breve che rischierebbe di far saltare il processo Eternit e segnare un altro durissimo colpo alla giustizia italiana.
Tuttavia, alcuni giorni fa, a Genova, il Tribunale ha emesso una sentenza storica. Che non potrà mai risarcire madri, padri, mogli e mariti, fratelli e sorelle dalla perdita dei loro cari ma che almeno è un “riconoscimento con i crismi della legge”, come afferma il bravo e sensibile giornalista Valter Vecellio, che ha rivelato il caso sul sito di Articolo21: un uomo, Silvano Piccardo, è morto di tumore nel 2005. Un gran fumatore, ammette la vedova che si è rivolta alla magistratura senza nascondere una delle cause ipotetiche del decesso. Ma il marito ha lavorato per anni a contatto con l’amianto. I giudici di primo grado avevano definito tale esposizione non rilevante, ma in appello la sentenza viene rovesciata, ed è stato riconosciuto che quelle polveri invisibili sono state letali.
Anche i familiari di un operaio della Fincantieri di Ancona sono stati recentemente risarciti, sempre in Corte d’appello, perchè si è dimostrato che un lavoratore per anni impiegato nelle navi è stato a contatto con le polveri d’amianto. Ma quanti sono ancora i casi simili nel resto d’Italia? Giornali e tv non ne parlano, a parte le solite rare eccezioni come le trasmissioni di Rai 3 Hotel Patria di Mario Calabresi e Brontolo di Oliviero Beha che recentemente hanno dato spazio all’argomento. Perchè questo silenzio?
Ps. Nel palazzo della Rai di Viale Mazzini c’è l’amianto. Lo rivela uno studio condotto dall’Istituto di medicina del lavoro della Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma che certifica la presenza di amianto in questo edificio dove lavorano oltre 2 mila dipendenti. L’ingresso principale è sbarrato per operazioni “di bonifica” da quasi un anno, mentre i lavori si sarebbero dovuti concludere in pochi mesi. I dipendenti, con atti formali hanno chiesto ufficialmente alla Rai di prendere provvedimenti o quantomeno, di sapere la verità…