l Jazz è un genere musicale che, pur essendo uscito negli ultimi anni dalla “nicchia” in cui era relegato, resta ancora un filone poco rilevante dal punto di vista quantitativo. Si potrebbe dire, semplificando, che il valore artistico è inversamente proporzionale all’aspetto commerciale: se scorriamo le classifiche di vendita nel 2012 per scovare un disco riconducibile al jazz, bisogna scendere al diciannovesimo posto e trovare “Unity Band”, l’album di Pat Metheny. I jazzisti sono pressoché sconosciuti al grande pubblico se paragonati ai colleghi musicisti del pop. Talvolta però qualcuno fa eccezione. Stefano Bollani è un musicista jazz eppure è più intervistato di tante pop star. Sarà forse per la sua poliedricità: è sempre in tour per concerti, ha appena scritto il suo secondo libro “Parliamo di musica” e sta preparando per Rai3 la seconda edizione del programma “Sostiene Bollani”.
E’ la versatilità di musicista, scrittore, imitatore che la rende così ricercato?
Ma no, non sono così oggetto di interesse. È che sono proliferati blog, fanzine… Rispetto a dieci anni fa ci sono in giro molti più giornalisti e siti. Detto questo, una vera pop star centellina le interviste mentre una non-pop star ne rilascia molte anche perché, ed è il mio caso, ha piacere di parlare. Di musica, non tanto di me.
In realtà qualcosa che l’accomuna a le pop star c’è. Se non altro nel riproporre, in chiave jazz, brani celebri di musica pop italiana ed internazionale. E in questa tecnica lei è uno degli antesignani. Lo fa per avvicinare al jazz un pubblico che altrimenti resterebbe a distanza?
È ciò che può sembrare, in realtà a me la musica pop piace molto. Mi piace l’idea di una canzone che in tre minuti può raccontare un’emozione e la cui melodia può arrivare facilmente ed essere cantata sotto la doccia.
Alla fine dei suoi concerti molto spesso invita il pubblico ad indicare una lista di canzoni che poi lei, sul momento, riadatta. Nella maggior parte dei casi propongono canzoni vecchie, persino dei cartoni animati, per quale ragione? E’ sbagliato dire che le canzoni di oggi si dimenticano più velocemente dei brani di un tempo?
Constatazione che sottoscrivo, ma aggiungo una postilla: il mio pubblico non è fatto tanto di ventenni che ascoltano i brani di oggi perché ho la sensazione, che sia composto di gente che ha nostalgia… (ride) Se mi chiedono “Heidi” è perché ricorda loro la propria infanzia non perché gli piace la canzone. Credo che sia anche una forma di gentilezza nei miei confronti perché immaginano che io non conosca l’ultimo successo di Fabri Fibra.
Secondo il suo collega Pat Metheny ci sono due tipi di musicisti: quelli che suonano la musica del mondo in cui vivono e quelli che suonano la musica del mondo in cui vorrebbero vivere. A quale delle due categorie lei appartiene?
Decisamente alla seconda! A meno che non si sia completamente dissociati dalla realtà suonare del mondo in cui si vive, si tradurrebbe inevitabilmente in una musica aspra, tagliente, difficile, piena di contraddizioni, cattiva. Se il mondo in cui viviamo dovesse avere una propria colonna sonora beh, sarebbe una musica terribile.
Negli anni Settanta, scrive lei, “la musica jazz si politicizza, anche in Italia diventando free jazz. Poi arrivavano i vari Area e Guccini che dal punto di vista politico erano molto più incisivi”. La musica non può essere “di contestazione” se non ricorre alle parole?
È chiaro che un testo fa maggiormente presa. In realtà, alla lunga, la musica ha molte più probabilità di incidere sulla vita e di migliorare la vita stessa delle persone, perché ti entra sotto pelle e perché, a differenza di un romanzo, un film o una commedia teatrale, è uno dei pochi linguaggi artistici che non ha bisogno di nessun tipo di traduzione. Io la musica la posso suonare in ogni parte del mondo; provoca le reazioni più diverse, ma è fruibile da chiunque.
Quanta attenzione c’è nel nostro Paese nei confronti della musica?
Scarsissima.
Perché?
È un fatto culturale, purtroppo. Non sono uno storico, ma il cinema, il teatro e la musica in particolare sono da sempre la Cenerentola delle arti.
Di chi sono le colpe?
Sono ben distribuite, ma certo la politica ha la sua bella dose di responsabilità. E sarebbe una grande conquista della scuola comprendesse anche l’inserimento e la valorizzazione della musica nelle scuole elementari, medie e nei licei per riprendersi il suo posto d’onore accanto alla letteratura, al teatro e alle arti figurative.
Stanno andando in onda su Rai3, in seconda serata, le repliche di “Sostiene Bollani”. Soddisfatto dei risultati di critica e ascolti?
Sì, sta andando molto bene, così come è andata bene la prima edizione, oltre le mie aspettative e penso quelle della rete. Normalmente uno va in televisione per lanciare un disco, un libro, uno spettacolo. Tuttavia questa non è attività artistica, ma promozione. Io volevo scoprire se si poteva e se aveva un senso usare il mezzo televisivo e non essere usati.
“Sostiene Bollani” torna in autunno su Rai3?
Sì, dovrebbe tornare con sei nuove puntate. Uso il condizionale visto che manca ancora molto tempo.
Qual è oggi il rapporto tra musica e tv?
Praticamente non c’è rapporto. Qualche concerto dal vivo, qualcuno registrato e trasmesso a tarda notte, ma programmi sulla musica non ce ne sono.
Però ci sono Sanremo e i talent show
Già, Sanremo… Ormai ha un’età che lascia presupporre la sua immortalità. I talent invece sono transitori. Sono la moda del momento, ma con tutta probabilità tra poco tempo arriverà qualcos’altro. Per fortuna altrimenti, come si dice in Toscana, se non ci fosse altro saremmo alla frutta…
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