Intervista a Stefano Rodotà (Libro “A Sinistra” di Stefano Corradino e Giorgio Santelli – Melampo, 2015)
Quando si parla di Europa e delle dinamiche della sua formazione una delle riflessioni più ricorrenti è quella secondo cui si è pensato all’unificazione solo in termini economici, non politici e culturali. E che ciò ha condizionato, inevitabilmente, e negativamente, il processo di costruzione del continente. E’ così?
Dire che fosse necessaria una fondazione politica e culturale è una considerazione assolutamente fondata. Una consapevolezza che peraltro esisteva tanto che, nel 1999, si era avviato un vero processo costituente in Europa: si pensava cioè di dotare l’Europa di una vera e propria Costituzione. Il primo passo fu il Consiglio europeo di Colonia del giugno 1999 allorché si diede mandato a quella che sarà poi chiamata la Convenzione, di scrivere una “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. Perché la condizione per avere un effettivo sistema costituzionale è il riconoscimento dei diritti fondamentali. Erano i principi della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” del 1789, secondo cui uno Stato che non conosce la divisione dei poteri e non riconosce i diritti fondamentali non ha Costituzione. Si evinceva già allora che i diritti fondamentali erano un momento di partenza ineludibile di una nuova fase costituente e che il mercato non poteva essere l’unica bussola per orientare e legittimare l’Europa.
Il tema della Carta dei diritti fondamentali non ha tuttavia trovato molto seguito.
La Carta dei diritti fondamentali non è una dichiarazione di buone intenzioni perché ha lo stesso valore giuridico dei Trattati. Ma in questi anni l’Europa è stata amputata di un pezzo della sua Costituzione e così la Costituzione europea è diventata quella economico-finanziaria. In questo quadro se avere più Europa serve semplicemente per rendere più stringenti i vincoli economico-finanziari nei confronti dei Paesi più deboli o considerati riottosi questa Europa non va affatto bene. Un’Europa più “politica” che recuperi tanti pezzi della sua tradizione storica e si avvalga della Carta dei diritti fondamentali è la strada per uscire dalla monocultura economica-finanziaria.
Legittimare l’Europa significava anche garantirle quella fiducia dei cittadini che invece è venuta meno.
La fiducia in questi anni è letteralmente caduta. Per varie ragioni, prima fra tutte la continua richiesta di sacrifici ai cittadini membri, l’ormai nota espressione “ce lo chiede l’Europa”. Un’Europa percepita sempre di più dai cittadini come “aggressiva”; questo determina fatalmente anche una sorta di ri-nazionalizzazione cioè di recupero della centralità degli stati nazionali. E allora o gli stati più deboli e aggrediti cercano di uscire da questa tagliola o gli stati più forti continueranno a imporre il loro punto di vista.
Per questo le elezioni europee sono così importanti, molto di più di quelle che abbiamo avuto nel passato. Un vero e proprio referendum sull’Europa.
C’è qualche forza politica che incarna lo spirito più politico dell’Europa, l’attenzione ai diritti e il rifiuto della logica solo economicistica? La lista Tsipras, magari?
Faccio fatica a identificare chi sia poi il soggetto nel quale si può più riconoscere questa posizione. In questi anni anche all’interno del mondo che si riconosce nella lista Tsipras, almeno in parte, c’è stata una sottovalutazione, per non dire un discredito della Carta dei diritti fondamentali, con una versione sbrigativa secondo cui “la Carta è uno dei tanti modi attraverso il quale il neo liberismo viene rilegittimato in Europa”. Se questa versione coglie alcuni punti deboli della Carta al tempo stesso ne trascura altri sul terreno così cruciale oggi dei diritti sociali per quanto riguarda ad esempio il riconoscimento di un reddito di cittadinanza alle persone, la necessità di garantire a tutti i cittadini un’esistenza libera e dignitosa, la sottolineatura dell’illegittimità dei licenziamenti senza giusta causa…
Ammettendo il mio “conflitto di interessi” dal momento che sono tra quelli che questa che Carta dei diritti fondamentali l’ha scritta ritengo ci sia, in essa, un nucleo molto forte di diritti sociali specie in quella parte, molto innovativa che ha come titolo la parola “solidarietà”, osteggiata in particolare dagli inglesi che allora, paradossalmente, erano sotto la guida dei laburisti.
La tutela di tutti i diritti non può essere affidata soltanto al potere giudiziario nazionale o sovranazionale. Penso e spero pertanto che recuperare la dimensione dei diritti a tutto tondo sia considerata una priorità ineludibile da tutti coloro che si collocano nell’area di sinistra, dai socialdemocratici ai vari partiti socialisti, da Syriza in Grecia, alla lista Tsipras in Italia. Con la consapevolezza che su questo tema c’è un terreno comune che deve essere valorizzato. E’ la condizione sine qua non per recuperare il credito e la fiducia dei cittadini e costruire una maggioranza politica adeguata nel parlamento europeo. Nei dieci punti di Tsipras che esprimono una cultura positiva e non antieuropeista si respinge l’idea tutta economicistica della gestione politica dell’Europa.
“Per un’altra Europa” è lo slogan principale della lista di Tsipras. “Altro” significa azzerare la storia dell’Europa?
Io non la intendo così. Si può costruire “l’altro” senza fare tabula rasa del “vecchio”. Si può perseguire l’obiettivo di attenuare o mettere radicalmente in discussione i vincoli di tipo economico e finanziario, difendendo l’Europa perché, nell’Europa e nella sua storia, c’è sostanzialmente un’altra visione. Dalla comunità del carbone e dell’acciaio, al mercato comune all’attuale Unione, in Europa è stato garantito un tempo di pace, l’ideale più alto, che non ha paragoni nella sua storia. Quindi nel suo dna c’era qualcosa che andava oltre la semplice unificazione mercantile.
Ma nel momento in cui la logica puramente economico finanziaria sbriciola la solidarietà tra Stati questa Unione diviene fatalmente debole, esposta ai colpi di mano di chi in un determinato momento è più forte degli altri. Pertanto ci sono principi che devono essere recuperati. E ribadisco: il fatto che la parola “solidarietà” assente da tutti i precedenti trattati, sia entrata grazie alla Carta dei diritti fondamentali è un dato che non può essere trascurato. E non è solo un problema di diritti individuali ma di riconoscimento di diritti collettivi; la necessità di riconoscere che gli Stati non sono legati da legami di convenienza ma da doveri reciproci di solidarietà. Questo mi pare che dovrebbe emergere in questa fase. Arricchendo così anche i dieci punti della Tsipras che io ritengo peraltro assolutamente condivisibili.
In questi anni uno dei termini che abbiamo sentito, e subito di più, è quello dell’austerità. Una condizione ancora ineluttabile?
Per molti era l’unica via da seguire poi, in quest’ultima fase, la logica delle troike della subordinazione di interi stati a criteri di pura austerità è venuta meno. Molti economisti e politici dello stesso parlamento europeo hanno rilevato che è stata imboccata una strada sbagliata e che ha prodotto molti danni di cui oggi noi vediamo le conseguenze. Perché, chi nell’Europa di oggi aveva la cultura, l’intelligenza e la consapevolezza politica che bisognava opporsi a tutto questo, non ideologicamente, non l’ha fatto, dicendo “badate questa non è nemmeno la ricetta che ci consente di uscire meglio dalla crisi”?
Chi avrebbe dovuto farlo? La sinistra?
E’ chiaro che il neoliberismo, il mercatismo senza confini avevano preso fortemente piede in Europa senza un contrasto adeguato. E questo è un dato indubbio di debolezza della politica della sinistra che ha ripetuto molti slogan ma ha finito coll’essere subalterna. Per superare questo limite è necessario agire su due fronti: costruire una la coalizione sociale adeguata affinché l’Europa possa uscire da questa situazione non attraverso la logica distruttiva dell’austerità e, nello stesso tempo, la creazione di una quadro istituzionale e costituzionale adeguato.
Al tempo stesso la coalizione sociale ha bisogno di una cultura che la sostenga: in questi anni abbiamo molto riflettuto sulle difficoltà dello stato sociale, e sul ripensamento del modello sociale europeo senza giungere ad alcuna conclusione. In questo modo si è lasciato via libera a chi il modello sociale europeo lo voleva semplicemente eliminare. Oggi dobbiamo costruire una nuova cultura. Nella Carta dei diritti fondamentali c’è lo spirito dal quale partire affinché l’occasione delle elezioni europee non sia inesorabilmente perduta.
Quale effetto ha per la sinistra italiana il coinvolgimento intorno alla lista Tsipras?
La lista Tsipras non incarna, almeno per ora un soggetto sociale, una cultura con forti tratti comuni e non è un caso che il nome della lista si ispiri a un’esperienza greca dove Syriza si è costruita negli anni come un autentico soggetto sociale. Syriza e Tsipras non sono un’esplosione dell’ultimo momento, sono piuttosto il risultato di un lavoro molto intenso all’interno della società greca con legami molto forti con i ceti sacrificati dalla crisi e che ha determinato la nascita di un forte soggetto. Con due effetti: in primo luogo quello di arginare la deriva populista, razzista e nazista di Alba Dorata ma anche quello di dimostrare l’insufficienza della sinistra tradizionale con un partito socialista greco uscito male da tutta questa vicenda e con il conseguente trasferimento di consensi su Syriza.
E’ impensabile che aver assunto il nome di Tsipras abbia prodotto come una bacchetta magica la stessa situazione in Italia. Noi siamo, semmai, nella situazione iniziale greca quando cominciò l’esperienza di Syiriza.
All’interno della lista Tsipras ci sono persone, gruppi, movimenti che sono partiti originariamente da un rifiuto dell’Europa, una prospettiva a mio giudizio politicamente non praticabile. In seguito c’è stato un recupero positivo sotto la sigla secondo me molto efficace “l’altra Europa” che allude a un’altra politica, a una visione più ampia e costruttiva della mera antipolitica, che si ispiri al lavoro di quei movimenti che in Italia hanno contributo a cambiare le cose.
Quali sono?
Il movimento per l’acqua pubblica, Libera, la Fiom, Emergency, sono tutte esperienze di altra politica a loro modo vincenti e che hanno prodotto innovazione culturale: il Movimento per l’acqua e per i beni comuni, la Fiom e la sua l’idea che la legalità sia un bene che va perseguito non soltanto con l’azione degli scioperi e della resistenza in fabbrica ma esigendo anche l’intervento per esempio della Corte costituzionale, Emergency intorno al diritto alla salute, Libera con Don Ciotti e la lotta alla corruzione e alla povertà… Qui ci sono valori forti e riferimenti concreti, non astratti. Si riesce a recuperare tutto questo attraverso il lavoro intorno alla lista Tsipras? Già in precedenza altri che si sono mossi in questa direzione, magari con scarso successo. Mi auguro che la lista Tsipras sia un acceleratore di queste pulsioni e non si comprometta per ragioni di pura concorrenza elettorale o per piccole controversie sui nomi. Un destino che francamente non mi auguro.
Il 12 ottobre scorso insieme a Landini, Don Ciotti, Zagrebelsky eravate in piazza per la Costituzione. Un’esperienza che continua?
“La Via Maestra”, titolo che abbiamo dato a quella manifestazione non si è arenata e sta ripartendo nella direzione che fu allora indicata: la Costituzione e la costruzione di una coalizione sociale. Attraverso una serie di proposte concrete che vanno dalle iniziative legislative popolari al reddito di cittadinanza alla democrazia in rete. Decentrando il lavoro e allargandolo a tutte quelle realtà, molto attive in Italia, che si battono per la crescita civile e sociale del Paese.